• facebook
  • youtube
  • instagram
SUL PEZZO

UMBERTO PASQUA: CON IL NOSTRO VINO ABBIAMO FATTO CRESCERE TRE GENERAZIONI

image_pdfimage_print

Sono nate e cresciute moltissime generazioni di uve e specificamente tre generazioni nella famiglia Pasqua da quando, nel 1925, i fratelli Pasqua – Natale, Riccardo, Umberto e Nicola – fondarono l’azienda di vigneti e cantine che porta il loro nome, oggi guidata dalla seconda generazione, i fratelli Carlo e Giorgio che della società sono gli amministratori delegati, e Umberto che ne è il presidente, affiancati dalla terza generazione, quella di Carlotta, Riccardo e Giovanni. Umberto Pasqua, laureato in Economia e Commercio nell’Università di Verona, ha ricoperto prima d’ora una serie di incarichi – amministratore delegato dell’Immobiliare Fratelli Pasqua, vicepresidente del Golf Club di Verona, consigliere nazionale della Federazione Italia Golf – e, per la società per azioni Pasqua Vigneti e Cantine, è stato responsabile commerciale e del marketing dell’azienda, amministratore delegato e, dal 2008, presidente.

Domanda. Com’è nata e in quale zona opera l’azienda Pasqua?
Risposta. Fondata a Verona nel 1925, oggi la struttura viene gestita da me e dai miei fratelli Carlo e Giorgio, mentre è già in campo la terza generazione. Nel 1980 abbiamo investito in vini di alta qualità e costituito la «Cecilia Beretta», un’azienda agricola nella zona della Valpolicella; poiché i nostri genitori sono originari della Puglia, nel 2000 abbiamo creato anche un’azienda agricola a Surano. Nel giugno del 2007 abbiamo poi trasferito la prima nella moderna sede di San Felice Extra, nel cuore dei vigneti di proprietà in zona Valpantena, a nord est di Verona.

D. In che modo la terza generazione Pasqua prende parte alle attività della famiglia?
R. Carlotta, figlia di Carlo, si occupa delle relazioni esterne. Giovanni, nipote di Natale, giovane enologo, collabora nel controllo e segue la parte tecnica; mio figlio Riccardo cura il progetto avente per oggetto gli Stati Uniti e il Canada, e più in generale l’espansione dell’azienda all’estero. Questi giovani della terza generazione stanno maturando l’esperienza necessaria per assicurare un futuro e una continuità all’azienda in un continuo scambio di idee, di proposte e di decisioni fra di noi.

D. Che dimensioni ha l’azienda?
R. Gli stabilimenti occupano una superficie di circa 19 mila metri quadrati, e sono progettati secondo le più moderne tecnologie. Abbiamo la proprietà di circa 200 ettari di vigneti e ne controlliamo mille; produciamo principalmente vini veronesi quali Valpolicella, Amarone, Soave, Bardolino, per i quali riscontriamo un grande interesse da parte del mercato. Costruita con materiali provenienti dalla Valpolicella, la cantina si sviluppa all’interno di un’area complessiva di 70 mila metri quadrati, con serbatoi in acciaio della capienza di 60 mila ettolitri e di 3 mila ettolitri di fermentini. La cantina sotterranea si estende per 3 mila metri quadrati in due livelli ed è destinata ai processi di affinamento in legno e in bottiglia.

D. In che modo rendete il vostro prodotto riconoscibile rispetto alle molteplici marche di vini che si trovano in circolazione?
R. Siamo convinti che il valore di un’azienda sia il suo stesso marchio, e ci impegniamo a farlo conoscere ed affermare in misura sempre maggiore. Qualunque ipermercato espone migliaia di etichette e risulta difficile che il consumatore scelga, per un caso, proprio il nostro vino. Per questo crediamo nell’innovazione, anche se nel nostro ambito non è semplice inventare cose nuove. Abbiamo creato un nuovo tipo di vino da uve Corvina e Cabernet, un Ruffiano che abbiamo chiamato Appassimento. I vini appassiti provengono da uve messe a riposo in apposite cassette di legno quindi vinificate più avanti nel tempo e che, solo per ciò, esprimono caratteristiche ben decise del luogo di origine e del prodotto come lo intendiamo.

D. Il prezzo influisce sulla scelta dei consumatori?
R. È necessaria molta determinazione in un mercato in cui c’è una grandissima competizione e in troppi usano la leva del prezzo. Ma un prezzo inferiore non è la soluzione dei problemi, perché finisce per far venire meno la strategia alla base. Per aumentare il valore bisogna aumentare la qualità; nel vino le quote di mercato sono tutte molto basse, non c’è una specifica azienda dominante, bisogna concentrarsi in certi segmenti e in determinate tipologie e non limitarsi ad attrarre clienti semplicemente abbassando i prezzi.

D. In che modo attuate l’innovazione all’interno dell’azienda?
R. Un esempio è il «packaging», ossia l’applicazione di etichette moderne, eleganti e distintive per qualsiasi tipo di vino. Nel 2007, in seguito ad un ampio progetto di ricerca e di marketing, abbiamo sviluppato il vino «Le Soraie» e le nuove linee «Le Collezioni» e «Villa Borghetti». Abbiamo aggiornato il marchio Pasqua infondendogli un carattere più moderno, arricchito dal motto «A family passion» che riassume la filosofia aziendale.

D. Qual’è la fascia di consumatori alla quale vi rivolgete?
R. L’azienda agricola Cecilia Beretta appartiene a una fascia alta, quindi si rivolge molto alla ristorazione e alle enoteche. Essa produce circa 200 mila bottiglie l’anno di vini veronesi di alto pregio, primo fra tutti l’Amarone Terre di Cariano, premiato con i Tre Bicchieri dalla rivista Gambero Rosso. Particolare importanza rivestono i vini Amarone, Valpolicella, Valpolicella Ripasso, Bardolino e Soave. Le ultime novità sono nate nel segno dell’innovazione e della sperimentazione, come i tre vini a indicazione geografica tipica prodotti con uve appassite Picaie Rosso, Picaie Bianco e Le Soraie. Il primo è molto richiesto; si tratta di un rosso composto da uve Corvina, Cabernet, Sauvignon e Merlot. Per il Picaie si appendono i grappoli nelle soffitte nelle case di campagna, dove i contadini lasciavano l’uva ad appassire fino a dicembre. L’uva è selezionata e viene vinificata dopo 3 mesi. La linea Villa Borghetti, che prende il nome della proprietà in Valpolicella, rappresenta una selezione dei vini veronesi più rappresentativi. Il portafoglio include anche il Pinot Grigio, lo Chardonnay, il Cabernet Sauvignon delle Venezie e, nell’ambito del Progetto Mezzogiorno, vini pugliesi quali il Primitivo e il Fiano, e siciliani come l’Insolia e il Nero D’Avola.

D. Come sono distribuiti i prodotti della vostra azienda?
R. La nostra produzione è destinata per il 65 per cento nei mercati esteri; distribuiamo i nostri prodotti in circa 50 Paesi, abbiamo un importatore in ogni Paese e a volte due, quando sono distribuiti sia vini della cantina Pasqua che quelli della Cecilia Beretta; nel mercato interno operiamo molto con la grande distribuzione, mentre i più grandi gruppi commerciali sono seguiti direttamente dal personale dell’azienda; nelle città maggiori abbiamo fino a dieci agenti. Cerchiamo di avere una distribuzione controllata il più possibile da noi; mio figlio si occupa direttamente dei mercati americani dei quali, nonostante la crisi, gli Usa e il Canada si stanno riprendendo bene. Stiamo esaminando l’ipotesi di investire anche nell’area asiatica.

D. A proposito di estero, dove si vende meglio il vino Pasqua?
R. I mercati esteri costituiscono le nostre priorità e alcuni di essi hanno ancora spazi di crescita, come quelli americano e asiatico. Ma non tralasciamo i mercati del Nord Europa, che hanno tenuto meglio degli altri nei momenti di crisi. In quest’area registriamo soddisfacenti risultati in Svezia, Danimarca, Norvegia, Germania, mercato questo storicamente molto positivo; quindi Olanda e Belgio. La Francia sembra un’area difficile, ma richiede solo un distributore che abbia voglia di crescere con noi. Operiamo bene anche in Russia, Australia, Nuova Zelanda, Giappone.

D. C’è una diversificazione per il mercato estero?
R. Fondamentalmente offriamo lo stesso prodotto presentandolo anche nello stesso modo. Puntiamo a ridurre il numero di referenze e a razionalizzare tutti i costi di produzione. Nelle produzioni di piccole quantità la diversificazione non ha senso, perché genera solo dispersioni anche per quanto riguarda le fasi di lavorazione diverse dalla produzione, quali l’etichettatura, l’imballaggio, la spedizione.

D. I disciplinari italiani sono stati molto criticati in quanto troppo rigidi. Lei cosa pensa?
R. Alcuni sono stati fatti bene, altri meno. È giusto regolamentare la produzione, deve esserci un controllo rigido ed efficace affinché la produzione non sia eccessiva e sia salvaguardata nello stesso tempo la qualità. Oggi non è più come una volta, quando i contadini non concepivano il sistema di diradare i grappoli poiché volevano produrre il più possibile; oggi per ottenere alti livelli di qualità occorre che la produzione non sia troppo elevata e scegliere se la cantina deve puntare alla quantità o alla qualità.

D. In relazione all’etichettatura in atto nell’Unione Europea, si è parlato di cannibalismo da parte dei vini di qualità inferiore in danno di quelli superiori. Qual è il suo pensiero?
R. È chiaro che si emana una certa regolamentazione per evitare che sia ingannato il consumatore, il quale va rispettato poiché è il nostro «datore di lavoro» e ha diritto ad ottenere informazioni corrette e trasparenti. Talvolta si può parlare di cannibalismo, in alcuni casi questo accade ma in altri si rispettano le norme e le etichette sono realizzate nel modo corretto.

D. In che misura la crisi ha influito sul modo di bere e di scegliere, fra i tanti, un prodotto di qualità?
R. I vini di qualità vendono sempre. C’è stata forse una riduzione del prezzo, ma ciò dipende anche da dove il prodotto viene venduto: se si tratta della grande distribuzione che offre molti vini di qualità elevata e di gran pregio, oltreché molto costosi, il target rimane pressoché invariato, in quanto il loro prezzo continua a limitare il numero dei consumatori, che sono orientati su fasce inferiori. Ma per l’esattezza, una certa sofferenza si è registrata nel comparto dell’alta ristorazione, che ha rallentato la vendita di determinate bottiglie. In alcuni casi in Italia il consumo di champagne ha avuto un calo considerevole, ed è stato sostituito anche dal prosecco: sembra un assurdo, ma la «bollicina» è comunque gradita. Diciamo che una corretta fascia di qualità e di prezzo è sempre richiesta, ma è determinante il marchio. Altrimenti cala la domanda e si instaura una guerra dei poveri sul prezzo, che ottiene solo il risultato di peggiorare la situazione.

D. Sulle scelte dei vini da parte dei consumatori influisce la concorrenza tra le case vinicole o prevalgono le scelte personali?
R. È chiaro che la competizione c’è sempre stata e continuerà ad esservi, per cui bisogna essere più bravi degli altri e tenere sotto controllo i costi rilevanti della distribuzione. È necessario confezionare il prodotto a un costo giusto per avere un margine, sebbene spesso ci si scontri con concorrenti che riducono i prezzi in misura eccessiva. Queste iniziative, che non giovano a nessuno, non sono causate solo dalla crisi economica, ma innanzitutto dalla mentalità. Anche prima di quest’ultima crisi economica esistevano questi metodi distorsivi delle vendite. Crescere, investire tutti i giorni sul marchio, farsi conoscere costa molto, per ottenere risultati sensibili da una campagna promozionale occorrono anni, ma è la strada che abbiamo deciso di percorrere.

D. La vostra azienda ha celebrato i 150 anni dell’Unità di Italia in qualche modo particolare?
R. Come abbiamo creato una bottiglia celebrativa per i nostri 85 anni, così per quest’occasione abbiamo selezionato un’edizione limitata di 150 bottiglie di Amarone dall’annata 2007, con un’etichetta tricolore in cui compaiono il volto di Giuseppe Garibaldi e le date 1861-2011. Proprio queste terre vocate al vino nella seconda metà del 1800 furono teatro delle battaglie che nella terza Guerra d’indipendenza permisero al Veneto di unirsi all’Italia. Le bottiglie sono state poste in distribuzione in enoteca e rese disponibili per i collezionisti anche attraverso il nostro sito.

D. Quali altre iniziative avete ideato e collegate con il vino?
R. Innanzitutto abbiamo puntato su una «democratizzazione» di questo prodotto con lo scopo di mettere alla portata di tutti l’enogastronomia di alta qualità made in Italy. È nato così il «Pasqua Star Taste Master», corso di degustazione svolto congiuntamente a una campagna sociale nel quale esperti della cucina e del vino si incontrano con i giocatori della squadra di calcio del Milan per sostenere il buon cibo e il buon bere. Abbiamo creato il «Wine Dating», gioco-aperitivo che punta alla sensibilizzazione dei cinque sensi per avvicinare il mondo dell’enologia ai giovani in modo responsabile e corretto, usando la linea ad hoc Setteventiquattro. Inoltre dallo scorso dicembre la nostra azienda è stata protagonista del primo «Wine e shopping outlet store» italiano, nel quale il vino incontra lo shopping, l’arte e il design comunicando il concetto di «gusto accessibile» attraverso l’accostamento del mondo dell’alta enologia e del bere consapevole a luoghi commerciali apparentemente diversi e lontani.

D. Qual è tra i vostri marchi quello più ricercato dai vostri clienti?
R. I marchi più ricercati sono l’Amarone della linea Cecilia Beretta e l’Amarone della Villa Borghetti, mentre i più venduti, oltre all’Amarone, sono il Ripasso, il Prosecco, il Valpolicella e il Pinot Grigio. Cerchiamo di concentrarci in un settore determinato: riteniamo che sia inutile offrire tanti marchi per poi limitarne la produzione; preferiamo produrre un quantitativo tale che abbia un senso.     (ROMINA CIUFFA)

Anche su SPECCHIO ECONOMICO – Maggio 2011

 

Previous «
Next »