LA TERAPIA NON DEVE FAR MALE ALLA COPPIA. Quando un rapporto si spezza, è un rapporto spezzato. Non è facile riportarlo in auge, di certo non come prima perché il prima non esiste più e spesso, nonostante sia stato forse stupendo, è ciò che ha causato la rottura. Sarà difficile non voltarsi più indietro per guardare gli errori, pesarli e farli pesare, perché a tutti gli effetti essi sono un peso. Consigliano la terapia di coppia, ma essa è in molti casi ancor più deleteria perché diviene un luogo di profondi dissidi che lo psicologo solitamente, pur volendo, tende a complicare. Ci si trova a dover affrontare logoranti ore “terapeutiche” di litigi forti. Presto atto che quello è il luogo “protetto” dove mostrarsi per far emergere le proprie dinamiche e complicazioni, potrebbe ben facilmente divenire l’incubatrice di un’angoscia, qualcosa di traumatizzante per i partner o per uno solo dei due, l’appuntamento con l’ennesima discussione. I partner non vogliono altro che tornare insieme, e amarsi, semplicemente amarsi.
Inoltre, una volta usciti dalla terapia, se lo psicologo non è stato in grado di smussare, alla fine dell’ora, gli angoli più dolorosi di entrambi i pazienti e riportarli a una visione comune, delicata, più dolce e costruttiva, si potrebbe creare una tensione che i due faticheranno a sciogliere. Non si può scambiare una seduta, che dovrebbe essere la panacea del bene per i partner che in essa sperano e mettono tutti loro stessi, per un terreno minato, un luogo di tortura, il Dissapore per eccellenza, quello che essi scalzano e per il quale, precipuamente, sono stati indotti ad andare in terapia. Quel luogo protetto non può divenire la Striscia di Gaza della coppia, località dove avvengono bombardamenti continui e dove la pace non si riesce a trovare.
Non necessariamente la responsabilità è dello psicoterapeuta, ma se è vero che in quell’ora le parti da considerare sono tre, allora almeno per un terzo – o un mezzo, se si considera la coppia come uno – lo psicoterapeuta diviene il soggetto che deve sì studiare le dinamiche tra i due ma anche mediare, se ciò è possibile, o comunque far sì che essi escano dalla terapia senza sentirsi cani bastonati, allora in tal caso è da valutare un cambio terapeuta finché non si trovi colui che faccia uscire dallo studio con un senso di leggerezza, non di pesantezza.
La psicoterapia, anche individuale, deve essere comunque un luogo dove la tensione scema. Vero è che è necessario scardinare anche i miti più antichi, andare alla ricerca dell’ago nel pagliaio, dolersi coraggiosamente, ma, sebbene intinti in grandi dosi di maggior consapevolezza e dovendo allontanarsi dalla seduta con dei dati da immagazzinare, delle emozioni da comprendere, un inconscio da affrontare perché possa esplicarsi nella sua totalità, i pazienti devono poter essere lucidi nei giorni seguenti e non temere quell’ora protetta. Altrimenti non ne gioverà né la terapia, né il singolo, e le paure aumenteranno. Occhio a chi non ha il cuore di cacciarvi con dolcezza.
Romina Ciuffa, 25 maggio 2025
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