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SUL PEZZO

OLIMPIADI DA RIO A ROMA, PASSANDO PER LE PARALIMPIADI: UN SEMINARIO DELL’AMBASCIATA DEL BRASILE IN ITALIA

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Schermata 2016-05-10 a 19.24.40Schermata 2016-05-10 a 19.24.46L’Ambasciata brasiliana in Italia guidata da Ricardo Neiva Tavares ha ospitato il seminario «100 giorni dai Giochi olimpici Rio 2016», per capire come si stanno svolgendo i lavori e fare il punto anche sulla candidatura romana 2024. Oltre all’Ambasciatore, sono presenti Fabio Porta, deputato italobrasiliano e presidente dell’Associazione di Amicizia Brasile-Italia, Domenico De Masi, sociologo e professore de La Sapienza di Roma con cittadinanza carioca onoraria, Sandro Fioravanti, vicedirettore di Rai Sport, Carlo Mornati, vicesegretario generale del Coni e capo missione Rio 2016, Luca Pancalli, vicepresidente del Comitato Roma 2024, Marco De Ponte, segretario generale ActionAid. Tutti moderati da Francesco Orofino, vicepresidente nazionale dell’Inarch.

Quest’ultimo afferma: «Mi sembra che possiamo essere certi che l’azione verso le Olimpiadi abbia riqualificato zone degradate della città, come l’area portuale, con opere architettoniche di grandissimo pregio, un esempio ne è il Museo del Domani firmato da un’artista come Santiago Calatrava, ma anche le opere del Parco Olimpico. La città è stata dotata di infrastrutture e ne è stato potenziato il trasporto pubblico, a partire dalla metropolitana, tutto questo attraverso lo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro con scelte di politica di rigenerazione legate al tema della sostenibilità ambientale come faro di riferimento per le opere da realizzare. Quindi siamo tutti convinti che dopo lo straordinario evento di festa e di sport Rio, grazie a questa occasione, sarà una città migliore in cui i cittadini potranno godere di un livello della qualità della vita sicuramente più alto. Oggi vorremmo lanciare anche un ponte verso la candidatura di Roma per ospitare le Olimpiadi del 2024, convinti che anche per la capitale italiana questa potrebbe rappresentare una straordinaria occasione di sviluppo e di riqualificazione».

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DOMENICO DE MASI. «Vorrei sottolineare alcuni punti di convergenza tra l’Italia e il Brasile. Ci sono due frasi che mi hanno sempre molto toccato, una di Tom Jobim e l’altra di Nelson Rodriguez. Il primo dice che il Brasile non è un Paese per principianti, e questo si potrebbe dire anche dell’Italia; Rodriguez invece dice che il Brasile non è popolare in Brasile, e neanche l’Italia è popolare in Italia. Questi due punti di vista ci accomunano perfettamente, che costituiscono per me due punti di forza, ad esempio, rispetto ai francesi che si elogiano per nascondere le loro debolezze. Vorrei ricordare cos’è il Brasile sotto il punto di vista dei dati statistici: su 196 Paesi, il Brasile è al decimo posto nella produzione industriale, nell’industria manifatturiera e nella produzione di metalli preziosi, mentre l’Italia occupa il nono posto nella produzione industriale, quasi una gara olimpica con il Brasile perché 10 anni fa eravamo noi al settimo posto e il Brasile all’undicesimo posto». Così prosegue De Masi: il Brasile oggi occupa l’ottavo posto per la produzione di servizi, di nichel, di alluminio e per il consumo di energia, che è uno degli indicatori più importanti per capire il livello di progresso di un Paese. È al sesto posto per il numero dei viaggi aerei, per il Pil, per il potere d’acquisto, per la produzione automobilistica. Da questi dati possiamo vedere che stiamo parlando di un Paese potentissimo che non ha nulla a che fare con l’immagine che di solito noi abbiamo della «repubblica della banane». Tra l’altro il Brasile è una democrazia profondamente consolidata sotto tutti gli aspetti costituzionali: è al quinto posto per la superficie, per il numero di abitanti, per la produzione agricola, per la produzione di cacao, per la produzione di stagno, di cotone e per la vendita di automobili. È al quarto posto tra le graduatorie delle città più grandi e San Paolo è la quarta città più grande del mondo, per la produzione di cereali, per la lunghezza della rete stradale. Il Brasile è al secondo posto per la produzione di olio di semi; al terzo posto nella produzione di carne e per frutta; occupa la prima posizione per la produzione di zucchero e caffè.
«Questo è un quadro che va dalla produzione rurale a quella metalmeccanica, in un Paese che ha una percentuale di giovani al di sotto dei 15 anni di età del 25 per cento che noi ci sogniamo, poiché la nostra è al 9 per cento. Al visitatore occasionale o quello abituale i punti deboli del Brasile non si nascondono, come non ci nascondiamo i punti deboli dell’Italia. Parlando del divario economico, il 10 per cento della popolazione bianca in Brasile possiede il 75 per cento della ricchezza, mentre nel 2007 in Italia, all’inizio della grande crisi, 10 famiglie di italiani avevano il potere di acquisto di 3 milioni e mezzo di italiani. Oggi le stesse 10 famiglie hanno un potere d’acquisto pari a quello di 6 milioni di italiani, quindi il divario da noi è aumentato».

«C’è poi l’analfabetismo–prosegue De Masi–ma bisogna anche dire che grazie all’impegno di Rudi Cardoso, moglie dell’ex presidente brasiliano Fernando Enrique Cardoso, e alla cosiddetta «borsa famiglia» rinnovata con i Governi successivi, il Brasile è anche il Paese che in questo momento nel mondo è al primo posto per la lotta all’analfabetismo. C’è poi la corruzione, ma come italiano non ho assolutamente la possibilità di infierire su questo punto. C’è la violenza, ma essendo io napoletano abitante di uno dei quattro epicentri delle multinazionali del crimine in Italia, ho poco da dire. Ci sono molti vantaggi per le imprese italiane che vanno in Brasile: il costo del denaro è al primo posto, a Milano un’ora di operaio costa 24 dollari mentre in Brasile ne costa 11. Inoltre il Brasile ha una rete e una catena di università da fare invidia, lo dico poiché le conosco personalmente avendovi tenuto molte lezioni. Il Brasile è anche portatore di uno stile e di una modernità nell’architettura che si vede anche nei musei».

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Eppure De Masi ha l’impressione che il Brasile, come l’Italia, non dia il meglio di sé. «A mio parere dà il meglio nell’antropologia, e per questo va ringraziata la storia: quando i portoghesi sono giunti in Brasile non hanno trovato il vuoto come sembrerebbe dalle storie del Brasile studiate dagli stessi brasiliani, che iniziano sempre dal 1500 e cioè dall’arrivo di Cabral: anche all’epoca di Omero e di Giulio Cesare il Brasile era abitato da una popolazione meravigliosa, a cui si deve la dolcezza del carattere e la passione per l’estetica. Era questa una popolazione che non aveva bisogno di lavorare per vivere perché arrivava tutto dalla natura, non aveva bisogno di combattere per dividersi le risorse, e quindi si dedicava prevalentemente a due elementi: la contemplazione della natura e l’estetica. Avere come eredità migliaia di anni in cui la popolazione era come quella ateniese di Pericle senza però la belligerenza, credo che sia stato un patrimonio strepitoso. L’arrivo dei portoghesi porta a una prima grande mescolanza, nascono i mamelucchi, poi arrivano gli africani e nascono i mulatti, poi arrivano gli italiani, i tedeschi, i libanesi, i giapponesi, ci sono 44 etnie con tantissime sfumature di colore».

«Tutto questo ha portato ai grandi punti di forza del Brasile, a partire dal concetto di accoglienza: mai il Brasile avrebbe costruito muri. Dal Brasile ci viene anche il concetto di solidarietà e il concetto di pace (40 etnie convivono insieme e vanno d’accordo mentre negli Stati Uniti ci sono le chiese per i neri e le chiese per i bianchi), è un Paese che ha 11 Paesi confinanti, e mentre noi con i nostri pochi Paesi confinanti in 500 anni abbiamo fatto 80 guerre, il Brasile ha fatto una sola guerra contro il Paraguay e devo dire che ci mise lo zampino anche Giuseppe Garibaldi. Un Paese che per 500 anni non si è addestrato alla guerra non ha bisogno di avere un grande esercito, non ha bisogno di alimentare aggressività nei confronti dei vicini. Tutto questo si vede nella dolcezza delle persone e nella filosofia del Brasile. Il mio grandissimo amico architetto Oscar Niemeyer ha scritto che ciò che conta non è l’architettura, ma la vita, gli amici, e questo mondo ingiusto che dobbiamo modificare. In questo momento il Brasile sta passando un brutto momento, un momento che assomiglia a quello italiano del 1992 con tutto quello ha comportato dopo, ma credo che le qualità intrinseche del Brasile siano tali da fargli ritrovare presto un punto nuovo di ripartenza, perché ha sempre avuto queste grandi capacità di resilienza».

«Per quanto riguarda la situazione attuale io dico che sta attraversando la sindrome di Galois; Evariste Galois è stato un grande matematico morto a 20 anni in un duello. A 16 anni aveva iniziato a scrivere sette grandi teoremi e la notte prima del duello in cui avrebbe trovato la morte, la passò a scrivere questi 7 teoremi anche se non aveva il tempo materiale per dimostrarli tutti, e di questi teoremi 5 ne sono stati dimostrati. Ci sono dei popoli che quando hanno un compito lo rinviano sempre fino a quando, alla fine, non se ne può fare a meno e si trova un colpo d’ala che risolve il problema; il popolo italiano è così, il popolo brasiliano è così, io sono sicuro che da questa situazione in cui noi ci troviamo insieme al Brasile ne verremo fuori con un colpo d’ala e ci saranno delle cose meravigliose. La storia del Brasile è una storia di stupore: quello che è venuto dopo è stato sempre migliore di quello che si sarebbe potuto immaginare, perciò sono certo che queste Olimpiadi avranno la forza per determinare questo colpo d’ala».

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SANDRO FIORAVANTI. «Le Olimpiadi trasformano le città, Barcellona si è aperta al mare per la prima volta nella propria storia grazie alle Olimpiadi, ma non è soltanto questo: l’Olimpiade ha sempre segnato qualcosa, come quella del 1960 in Italia che in qualche modo ha voluto riscattare l’idea di un’Italia differente, un’Italia che fino a poco tempo prima scambiava gli operai con il carbone. È questo un momento che ha una rilevanza assoluta, vi si rinvengono elementi e valori condivisi che si accorpano, in 16 giorni, in una sorta di Natale in cui esiste un villaggio globale meticcio in cui appare possibile convivere tra diversi, in un sentire comune. Nel 1948 abbiamo ricucito le ferite della guerra anche se non sono stati invitati alcuni perdenti, ma al di là di questo non invito degli sconfitti, c’è sempre stato un riunirsi e un ritrovare qualcosa, la stessa torcia olimpica del 1936 era stata autorizzata forse con altri fini ma nel 1948 l’Italia ricucì con questo percorso quelle ferite che la guerra aveva causato».

Tutto questo, secondo il vicedirettore di RaiSport, trova un filo conduttore nel 1964 quando per accendere il tripode fu impiegato un ragazzo nato lo stesso giorno che fu sganciata la bomba a Hiroshima a simboleggiare la rinascita del Giappone. «L’Olimpiade avrà un valore assoluto per il Brasile anche se esso non ha bisogno di riaffermare quello che dovette riaffermare Roma nel 1960, però certamente sarà importante raccontarlo in modo differente, perché ancora oggi Rio si ammanta di meravigliose bellezze e di questo sentire gioioso che appare nell’immaginario collettivo ma sicuramente ci sono cose che ancora non garbano e di cui addirittura si ha paura. Tutto questo sarà superato certamente nel periodo olimpico e mi auguro che abbia effetti anche nell’avvenire. Il nostro racconto sarà su 3 canali HD, per quanto riguarda il racconto televisivo sarà su 25 canali raggiungibili attraverso la rete, ci auguriamo di riuscire in questo racconto – sia pure molto concitato e concentrato dato che vi sono 46 discipline olimpiche da coprire in solo 16 giorni – a rendere gli elementi non solo del Paese ospitante ma anche dei Paesi ospitati, con tutti i messaggi annessi che un’Olimpiade lancia».

«Quella di Atlanta probabilmente è stata l’Olimpiade meno bella di tutta la storia recente per vari motivi. È forse da quel momento che le Olimpiadi sono divenute altro: basta vedere che per comprare i diritti televisivi fino al 2024 ci vuole un’enorme dispendio, diciamo che si è persa la misura del racconto, della trasmissione di un messaggio. La situazione non è ottimale da questo punto di vista. Le Paralimpiadi hanno mantenuto tutto questo intento: nel 60 le prime Paralimpiadi hanno guadagnato una sorta di sentire paritetico e noi le racconteremo in modo paritetico con gli stessi telecronisti e con lo stesso impegno. Spero che per il Brasile sia come è stato per Londra, dove gli stadi erano colmi durante le Paralimpiadi e probabilmente si è avvertito per la prima volta questo elemento, e cioè che si andava a vedere le gare e il competere, mentre 30 anni fa probabilmente si assisteva agli sport paraolimpici con una nota amara di compassione e commozione. Oggi chi è privo di una parte del corpo è come chi porta gli occhiali: un modo diverso di riuscire a fare le stesse cose, e talvolta addirittura meglio di chi i pezzi li ha tutti».

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CARLO MORNATI. Prosegue Carlo Mornati, vicesegretario generale del Coni e capo missione Rio 2016. «Stiamo facendo un grande sforzo perché Rio ci proietta alle Olimpiadi del 2016 ma ci fa da trampolino per quella che è la candidatura di Roma 2024, che è molto più vicina di quanto si possa immaginare poiché tutto si deciderà nel 2017. Il nostro sforzo è in linea con quello che è stato sempre fatto dal Comitato olimpico, che è uno dei Comitati olimpici più blasonati nel mondo. Siamo la quinta nazione per il numero di medaglie vinte e stiamo organizzando la nostra trasferta al meglio, con circa 300 atleti. Ciò significa che la delegazione sarà formata da uno staff di 650 persone. Ovviamente Rio de Janeiro rappresenta un messaggio ricco di simbolismo e anche la nostra spedizione vuole essere ricca di simboli a cominciare dalla nostra Casa Italia, una delle tante ‘ospitality house’ che costituiscono il punto di ritrovo per la comunità di appartenenza. Noi l’abbiamo voluto fare in maniera molto simbolica e significativa e sarà questo il modo in cui porteremo nel mondo il Made in Italy. Tornando al simbolismo olimpico, quando Pierre De Coubertin pensò alle Olimpiadi pensò sia a competizioni sportive sia a competizioni artistiche, presenti queste ultime dal 1912 a Stoccolma fino al 1948 accanto alle gare sportive».

«Ci siamo impegnati a fare in modo che Casa Italia sia un museo moderno che raccolga ciò che sono la cultura brasiliana e la cultura italiana. Portiamo anche la nostra tradizione culinaria contaminandola con la tradizione culinaria brasiliana perché abbiamo invitato sia degli che stellati italiani che brasiliani. Casa Italia sarà il nostro faro, perché la voglia e il desiderio di lasciare qualcosa è tanta, non è solo un evento sportivo di passaggio. Con Action Aid siamo impegnati da più anni e faremo in modo che 500 ragazzi con le loro famiglie della Rocinha saranno coinvolti in una sorta di educazione al cibo e allo sport lasciando una piccola testimonianza di quello che è stato il passaggio dell’Italia a Rio. Sono convinto che saranno dei grandissimi giochi a prescindere da quella che sarà la realizzazione infrastrutturale perché veramente c’è un calore umano che va oltre a quello che l’elemento agonistico in sé», conclude Mornati.

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LUCA PANCALLI. Luca Pancalli è un pentatleta, nuotatore, dirigente sportivo e politico italiano. Praticare attività sportiva ad altissimo livello nonostante sia costretto su una sedia a rotelle. «Vorrei fare una riflessione sulla dimensione paraolimpica che Rio sta preparando a ospitare subito dopo le olimpiadi, legata anche e soprattutto alla riqualificazione sociale e culturale. Credo che mai come oggi le Paralimpiadi rappresentino l’occasione strategica per un Paese di accelerare i processi di attenzione verso le fasce deboli della società che necessitano di grandi eventi per poter gridare al mondo ‘esistiamo anche noi’. Sono ormai tanti anni che mi occupo di dimensione paralimpica come presidente del Comitato italiano paralimpico ma anche a livello internazionale, ho visto negli ultimi 8 anni il progresso straordinario che ha fatto il Comitato paralimpico brasiliano sull’onda dell’assegnazione dei giochi del 2016. La dimensione paralimpica del Brasile 8 anni fa era quasi nulla, oggi invece è tra le prime nazioni al mondo, quindi dal punto di vista sociale sfuma la grande attenzione all’evento sportivo per appropriarsi della dimensione sociale poiché si genera una cultura della solidarietà e dell’inclusione».

«Probabilmente–prosegue Pancalli– assisteremo a degli straordinari giochi olimpici e forse ai più belli della storia dei Paralimpici, perché nella dimensione paralimpica il progresso è talmente veloce che Paralimpiade dopo Paralimpiade assistiamo a qualcosa di straordinario ed inimmaginabile dei nostri atleti. Sicuramente sarà anche un esempio per noi per quanto riguarda Roma 2024, poiché guardiamo a quelle città che hanno saputo sfruttare quest’occasione nell’idea di sviluppo urbanistico della città. Oggi siamo candidati e stiamo tentando di coltivare questo sogno di regalare a questa città un’occasione e un’opportunità. Se noi oggi vogliamo proiettare Roma nell’ambizione di regalare un sogno nel 2024, ciò è perché siamo fiduciosi che quello che stiamo facendo oggi come Paese e come città in futuro si possa realizzare come sogno. Roma non ha bisogno di punti di forza, Roma è Roma con i suoi 2700 anni di storia stratificati sulle proprie pietre, Roma è la città eterna capitale della cultura e della civiltà, ogni angolo di Roma ci racconta una storia, il punto di forza di Roma è la città stessa e noi romani dobbiamo convincerci del fatto che possiamo essere forti perché vogliamo prospettare un’Olimpiade della cultura, della bellezza, dell’innovazione, della sostenibilità».

«Pochi sanno che Roma rappresenta la città che ha maggiori spazi verdi in Europa. Vogliamo dare a Roma un’occasione di rilancio e un’opportunità organizzando e candidandoci per due grandi eventi sportivi ma soprattutto partendo da la dove le Olimpiadi del 1960 ci hanno portato, regalandoci la Via Olimpica, il sottopasso del Lungotevere, il Villaggio Olimpico e tutte le strutture infrastrutturali, lo Stadio Olimpico, lo Stadio dei Marmi, il Foro Italico. Ripartiamo paradossalmente da quelle cose che in qualche modo sono e rappresentano Roma 1960.Abbiamo già il 70 per cento degli impianti e possiamo ripartire imparando dagli errori del passato. Non serve costruire cattedrali nel deserto, serve costruire quello che è necessario per ospitare due grandi eventi sportivi, ma solo laddove questa infrastrutture sportive avranno ragion d’essere nel futuro perché, se non saranno accompagnate da piani economici gestionali e di sostenibilità nel post evento olimpico, saranno solo strutture temporanee non utili».

«Bisogna intervenire laddove è necessaria una rigenerazione urbana e infrastrutturale, si pensi all’area di Tor Vergata dove c’è ancora la ferita aperta della Vela di Calatrava, da noi individuata per ospitare il Villaggio Olimpico. Ci sono ancora altre infrastrutture che poi, terminate le Olimpiadi, saranno smontate mentre altre saranno usate dalla città riqualificando un’area che forse soltanto con l’evento olimpico e paralimpico avranno un senso. Non so quale amministrazione sarà in grado di immaginare di riqualificare quell’area senza l’occasione di un grande evento che attrae economie e risorse importanti. A me viene da sorridere quando mi si antepone il problema della buca all’organizzazione di un evento olimpico, la buca va a priori aggiustata, invece l’evento olimpico è un acceleratore rispetto a delle risposte che la città sta aspettando da troppi anni. I cittadini romani lo meritano».      (ROMINA CIUFFA)

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Anche su SpecchioEconomico – Giugno 2016

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