• facebook
  • youtube
  • instagram
SUL PEZZO

DALLA AI ALLA AS, ECCO LA STUPIDITÀ ARTIFICIALE

image_pdfimage_print

Ogni società è il frutto di se stessa. Malvolenti, siamo corrotti dalla social-izzazione, una malattia vera e propria che porta in sé i germi dell’ADHD, del disturbo ossessivo-compulsivo, della depressione, della psicosi dissociativa e chi più ne ha più ne metta. Sembra impossibile ormai staccarsi dal concetto di social e dal suo uso. I tempi erano già maturi, anche a causa del lockdown, perché si verificasse una stupidizzazione formale che, nel suo informale, era già in atto. A tavola, nei ristoranti e a casa, tutti i presenti sfoggiano davanti al volto il loro telefonino “scrollando” di continuo non per non perdere notizie, bensì per una vera e propria “fissazione” che è tutto fuorché un’operazione di fissaggio, poiché ciò che si scorre non è memorizzato nemmeno un po’, tanto che per tale memorizzazione è in uso il comando di “inoltra”, la condivisione di video e foto spesso riguardanti animali, influenze, comici, tutti argomenti di cui non si avvertiva il bisogno. Interessanti, di certo, ma non nell’abuso, che crea una sorta di folclore maccheronico nel quale si festeggia di continuo l’esigenza di alienarsi e starsene da soli in disparte, con la percezione, però, di essere ovunque. Ci restano male le nonne, gli zii, i parenti di una certa età che non sanno o non possono partecipare all’annullamento del nipote che, mentre è con loro per il momento di visita, passa il tempo a fissare un telefonino e ad atteggiare la propria mano nella posizione di un prevedibile tunnel carpale. Ci restano male anche gli intelligenti, i “sapiens” che non sanno altrettanto essere così saggi nell’allontanamento dal reale che – a rigor del giusto – spesso è auspicabile e utile, ma non in termini di eccesso, estremismo, abuso.

Si scappa dalla società e dunque si utilizza il social, o utilizzando il social si è creata una società da cui scappare? Chi è nato prima, l’uovo o la gallina? Entrambe le possibilità. Nel fatidico lockdown del 2020, che ha coinvolto l’intera umanità rendendola schiava della connessione virtuale, si sono gettate tutte le basi per rimpiazzare la realtà con la fuffa. Addirittura, si sono gettate le basi (e le altezze) per una psicoterapia online, la quale è fallimentare rispetto a quella de visu per le stesse circostanze per cui una fototessera è più impegnativa di un selfie. Serve la prima per sentire la fermezza dell’immagine, quattro scatti veloci e la necessità della scelta di uno solo di essi, il pagamento alla macchinetta, la necessità di recarsi là dove quest’ultima è posizionata (una galleria sotterranea cittadina, la metropolitana, la piazza). A tal punto si è giunti con la virtualità da trovarne sempre di meno e ignorare dove esse si posizionino. Il cambiamento al digitale e al virtuale ha portato ad una facilitazione estremamente positiva della vita di noi tutti, si veda la possibilità attraverso lo Spid di entrare immediatamente nel proprio storico presso l’Agenzia delle Entrate, i pagamenti, le visure catastali fino a coinvolgere qualunque ente che richieda l’identità certificata. Tutto questo è un grande bene (salvo nella parte in cui intervengano hackers a clonare l’identità digitale e ad effettuare crimini di vasta portata ed importanza).

Non è un bene, invece, che vi sia chi come Chiara Ferragni, portabandiera degli influencer, si sia arricchito in una maniera esorbitante proprio per il fatto di aver saputo premere il pulsante invia, il post, il trait d’union tra il selfie e la pubblicità, tra se stessa e lo sponsor (tralasciamo i commenti sulla storia dei panettoni), creando un pubblico dal nulla ed impiegandolo ai propri scopi al punto tale da piazzare online tutta la vita dei propri figli insieme a quella dell’ex Fedez, peggio che andar di notte. Questi due sono, di fatto, il simbolo di migliaia di altri influencer che, per essere in tanti, troppi, finiscono in effetti a perdere d’importanza, e qui va spezzata una lancia a favore di Ferragni che, almeno, ha posseduto il requisito dell’originalità: è stata la prima in Italia. Ma ora tutti mangiano gratis nelle pizzerie che pubblicizzano, “lo sapevi che il brunch più buono di Milano è…?”: sono talmente tanti che viene da domandarsi se tutti questi locali (spesse veramente basici, quasi impublicizzabili) abbiano ancora qualcuno che paga i conti, oltre a coloro che si presentano alla porta dicendo: “Ho tot numero di follower, posso farle pubblicità”. Che tristezza, il nuovo mondo della ristorazione, quando vedi la signora che ha da cinquant’anni condotto la propria attività cucinando per tutti ritrovarsi a dire anche lei, imbarazzata, “lo sapevi che nel mio ristorante puoi provare le fettuccine più buone d’Italia”, “lo sapevi che qui puoi fare un aperitivo con dieci polpette tutte diverse?” e così via, andando sul patetico.

Oltre all’influencing, addito Maria De Filippi che, con la sua cricca, ha distrutto l’intelligenza (ove ve ne fosse) di milioni di telespettatori italiani che seguono le tresche di personaggi che fino a ieri non erano nulla e che, una volta Uomini e Donne, divengono l’emblema dell’amore prêt-à-porter; lo stesso valga per tutti i reality, nessuno escluso, tra i quali L’isola dei famosi, Temptation Island (nella quale addirittura si sfidano coppie di amanti ad avere una cotta per dei tentatori e li si invitano a litigare a cielo aperto o a “chiamare un falò di confronto”), il solito Grande Fratello che peggiora di giorno in giorno, le versioni VIP di tutte queste trasmissioni. Da lì tutto passa poi per i social e sui social stessi, divenendo la cancrena dell’intelligenza. Oggi non è difficile vedere bambini di otto anni a scuola con il cellulare, adolescenti che inviano messaggi ad altri adolescenti chiedendo sesso senza troppi corteggiamenti (così è che funziona ora) affermando a soli sedici anni che “non voglio relazioni”, “voglio stare da solo”, “i rapporti sono complicati, preferisco sesso una botta e via”. Che orrore, che dolore per certe nonne e solo certe mamme (tra le quali si rinviene spesso in nuce il batterio della virtualità, l’accecata necessità di essere collegate attraverso numerose chat, social network, balletti di TikTok o reels di Instagram). L’unico social che sembra essersi distinto e distinguersi ancora è Linkdn, nato per lavorare e ancora serio ed efficiente nel creare una rete e più reti collegate di professionisti, che però passa in ultimo piano rispetto ai video di gattini e ad una intelligenza artificiale che, a partire da ciò che era Alexa (invero utilissima novità ora entrata nella nostra normalità come un aiuto) ad oggi, è divenuta la fucina di scrittori falsi (“Chat GPT, puoi scrivere al posto mio un libro?”, tanto da essere anche presenti sul mercato coloro che pubblicizzano: “Vuoi essere uno scrittore? Il tuo libro lo scriviamo noi”), la fucina di foto false, di video falsi, di intelligenze false, di cose false. Ed è vero allora, di intelligenza qui c’è solo quella artificiale che, prendendo la sua “expertise” dall’interazione con gli utenti, presto potrà correre il rischio di essere ridotta, nondimeno, ad una stupidità artificiale, se già non è accaduto.

Romina Ciuffa

Previous «