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SUL PEZZO

MI SVEGLIO E DI SOPRASSALTO NON AMO PIÙ

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MI SVEGLIO E DI SOPRASSALTO NON AMO PIÙ. È possibile svegliarsi un giorno di soprassalto e non amare più? Ieri, solo fino a ieri sera si amava infinitamente non questionando, oggi, da stamattina improvvisamente ci si sente piatti e boom!, il cuore batte solo per le funzioni vitali e accelera per l’ansia, si guarda alla nuova giornata con un senso del dovere e non più del piacere. Ma boom!, non si ama più.

È assolutamente possibile svegliarsi un giorno e non amare più. Ciò non è avvenuto nel sonno, sono giorni, mesi, anni che si cova. È come la fame, si crede quasi non si mangerà mai più perché non si ha fame e si è mangiato troppo, ci si sente pieni, troppo pieni, non si pensa al cibo perché lo si è avuto e nemmeno costituisce una preoccupazione e poi, improvvisamente, eccola, la fame. E tanta pure. Ma se fino a poco prima ci si pensava eterni, immortali e magri, e al supermercato con orgoglio si saltavano tutti i banconi del cibo, come si fa, solo pochi minuti dopo, ad essere morsi dalla fame? Così è la fine dell’amore. Si aveva la pancia piena, l’amore c’era, si guardavano solo banconi con altra merce, non ci si interessava all’argomento e poi eccola, improvvisamente, la fame. Eccola, improvvisamente, la fine dell’amore.

Bisognerà fidarsi di un sentimento tanto impulsivo? Ed anche, è la fine dell’amore un sentimento o è l’assenza di sentimento?

La fine dell’amore è un sentimento, a volte anche più preponderante della sua presenza perché anziché far cessare, insieme all’amore, anche tutte le altre funzioni correlate, le tiene attive ed esse logorano chi le detiene. La parte cognitiva, prima di tutto: la fine dell’amore significa non amare, e significa anche non amare più una data persona con la quale si era creato un costrutto complesso di informazioni presenti ed aspettative per il futuro; dunque, quando ci si sveglia ad amore finito tutto ciò che si ha intorno non ha più senso, le piccole e le grandi cose, il telefono, la casa, la famiglia dell’altro, la vita. Tutto ciò che fino al risveglio era intorno alla coppia e definiva l’altro e, con lui, la propria vita quotidiana (orari, amici, conversazioni, abitudini) non ci sarà più, questa è la prima perdita. Può, cognitivamente, eliminarsi la figura dell’altro dalla propria vita, immaginando si usi una gomma da cancellare per rimuoverlo da tutto, ma cosa ci sarà a tappare quei buchi che lui, la sua famiglia, le sue chiamate, le sue fissazioni, i suoi amici, le cose che lo riguardavano erano lì per tappare?

Poi c’è la parte emotiva, che viene a mancare: resta presente come tormento ma diviene assente per la fine dell’emozione amore. Si soffre per l’assenza del costrutto cognitivo: il pensiero continuerà ad attivare i processi neurali abitudinari ma si troverà carente del frammento finale, quello dell’esistenza. Il costrutto cognitivo ha invaso, nel tempo, nevrosi, discussioni, cibo, noia, costrizioni, tutte sicurezze di cui l’essere umano ha tremendamente bisogno e che ora saranno mancanti, con il risultato di rendere il processo neurale attivato monco.

C’è la parte emotiva dell’essere solo: non amare più significa essere intimamente soli e solitari, trovarsi ovunque con chiunque ma sempre con nessuno, intrinseca solitudine inaccettabile, a primo avviso, da colui che è abituato ad avere un oggetto da amare che costituisce compagnia perenne anche nell’assenza.

C’è la parte psicologica, che investe il deludere se stesso per essersi disatteso e il dissociarsi da ciò che fino alla notte si era visto per sé, una persona fatta di due, una identificazione ben marcata della coppia e di quella coppia, il dover scindere il proprio sé dal sé altrui e cancellare quest’ultimo per riprenderne il possesso. Come abituarsi all’idea che quella persona non dipingerà più, con i suoi colori, il proprio letto, la casa, il mare? Non la questione cognitiva del comprendere di essere soli né quella emotiva del non essere con nessuno, bensì la questione assolutamente psicologica, quando non psicotica, della derealizzazione e depersonalizzazione di tutte le emozioni correlate a quello specifico altro, il proprio altro, l’essere in possesso di qualcuno e improvvisamente attendere di vedersi, d’ora in poi, in possesso di nessuno né in possesso di quel qualcuno, il senso di alienazione dalla realtà e da se stessi quando, in tutte le ore successive da quelle del risveglio, non ci si identificherà più con quella persona, ogni giorno successivo risvegliarsi e rivivere di nuovo il trauma del non c’è più non trovandolo, sapere di non essere più dall’altro posseduti per il sol fatto di non amarlo più quand’anche l’altro continui ad amare, non dipendere più da nessuno né da quella persona, dover fare i conti con la re-cognitivizzazione del tutto e di se stessi, sentirsi strani, preferire il sonno, sperimentare incredulità, ricercare ottundimento per non provare. Un processo inarrestabile, ineluttabile, che fa più male che l’amare stesso.

Per questo, quando improvvisamente, proprio come la fame, ci si sveglia e, di botto, si sente la fine dell’amore, è bene fare una cosa: girarsi dall’altra parte e dormirci un altro po’ sopra, poi svegliarsi, fare colazione, e per qualche anno fare finta di niente.

Romina Ciuffa, 6 maggio 2025

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