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SUL PEZZO

IL PRIMO PASSO IO NON LO FACCIO

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IL PRIMO PASSO IO NON LO FACCIO. Ci sono quelle settimane, mesi a volte, anche annualità di litigio che finisce per divenire routine in cui si fa questo penoso gioco di non chiamarsi e aspettare che sia l’altro a fare la prima mossa, per una, due, tre volte, poi si torna un po’ insieme con qualche rancore, e di nuovo litigio e attesa, scrivi tu, io non scrivo, perché non mi hai scritto, sei sparita, amore non ce la faccio più e tante, tantissime frasi tra il serio e il faceto, tra l’amore e l’odio, tra il lasciamoci ed il restiamo insieme, tra l’è finita e il prendiamoci un periodo di riflessione. Nel mio libro Amore mio tu soffri mi sono lungamente trattenuta su questi concetti e, soprattutto, sull’amore in pausa, quello della riflessione. Ma questi giochetti sono ben altro. Si tratta di una necessità, quella dei due, di essere cercati dall’altro totalmente dettata da insicurezza da un lato, orgoglio dall’altro, meglio detto orgoglio e insicurezza totalmente avvinghiati al punto da non sapere dove finisce l’uno e inizia l’altro, e il tutto prescinde, da un certo punto in poi, da chi abbia ragione se ragione ve n’è. E, ai tempi di oggi, si guarda ossessivamente il cellulare, speranzosi, imbastarditi, abbattuti, supplichevoli.

Poi, quando il messaggio dall’altro arriva (ha ceduto), la reazione sarà la seguente: tzè, mi ha scritto, non si merita nulla, continuerò a mantenere il punto. Forte della “caduta” dell’altro, l’uno si mette sul piedistallo (oggi tocca a lui, altre volte no) e si fa cercare per quella nota regola dell’uomo di strada che recita in amor vince chi fugge, la quale, per carità, è vera in certi termini, ma in una trattazione più matura andrebbe sostituita con in amor vince chi resta. Fuggire non è amore, se si corre via è segno che qualcosa non va, che è in corso un battibecco, che ci sono dei chiarimenti che devono essere affrontati attentamente dalle due parti. Che è inutile iniziare il giochino della pausa orgogliosa, giorni e giorni senza sentirsi e poi un “che fai” e la risposta “ho da fare” quasi netta, seguita dall’inutile e incongruente “ho atteso un tuo messaggio, potevi scrivere prima, ormai ho da fare”.

Prima peraltro tutto ciò era più dolce, quasi valeva la pena: sino ad una ventina di anni fa si aspettavano fiori, un invito a cena, delle scuse (pure non sentite ma) plateali e, perché no, la telefonata, un “drinn drinn” sonoro, ma nulla che potesse equipararsi a quel dilaniante senso di fine che si prova nell’attesa di un messaggio whatsapp. È utile? È intelligente? È maturo? Non se ne scappa, a qualunque età e a qualunque quoziente di intelligenza arriverà il momento in cui si aspetterà il messaggio dell’altro e non gli si scriverà manco morti, non importa quante lauree si siano prese. Subito dopo il bip bip, una volta giunto il fatidico “che fai?”, tanto atteso, sognato, reclamato, pregato a Dio, subito eccolo, inizia a salire il piedistallo, dieci, venti centimetri, fino a un metro, per ricreare quel pulpito da dove si predicherà “sei sparito” e si fingerà che le stesse dinamiche non fossero presenti da entrambe le parti e che i piedistalli non fossero due.

In una coppia che è in crisi questo può accadere talmente tante volte da non avere quasi più un senso. Non arrivano inviti a cena o fiori, come ai bei tempi, ma sempre, ineluttabilmente, quegli anaffettivi messaggini che servono a recuperare il possesso in un braccio di ferro che si vince solo a metà. Tale routinaria litigiosità seguita da spazientimento e giorni dolorosi retti da una inutile attesa non sono che il frutto della scarsa comunicazione e comprensione dei due partner che continuano a perpetrare penosi trabocchetti a se stessi, come se quotidianamente avessero bisogno di conferme per le proprie insicurezze. Se uno dei due, poi, decide di interrompere questa catena per riflessione matura (“amore, ci sei?”), i risultati si avranno fino al prossimo battibecco e tanta maturità finirà addirittura per guastare, se non si è affrontato, ancora una volta, il dolente argomento. Questi mezzucci, in realtà, non sono altro che un modo per comunicare tra i due; comunicare che (sono arrabbiati ma) senza l’altro non sanno proprio stare. Ma il primo passo io non lo faccio.

Romina Ciuffa, 5 maggio 2025

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