BUTTARE GLI OGGETTI A CUI CI SI AGGRAPPA. Le cose si amano. Quale errore! Spesso contengono la proiezione di qualcuno, di un momento, sono praticamente album di ricordi, gli si attribuisce un’anima un po’ come ai peluche, che si fatica a gettare anche se vecchio e non più utilizzato perché “ti guarda con quegli occhioni”. Ci sono anche altre cose che guardano con quegli occhioni, che non si fanno mai gettare, alle quali attribuiamo un significato troppo pressante, quasi pesante, tanto da rendere quelle cose il significato stesso, come dei transformer che divengono ciò che essi proiettano all’esterno, una sorta di trappola inconscia che rende l’uomo solo apparentemente più stabile in quanto può “reggersi” aggrappandosi a qualcosa di concreto e togliendosi da quel mondo tutta psiche nel quale, altrimenti, sarebbe immesso.
Ma a volte esagera. Oggettini, cosette, minuzie, esempio lampante le calamite sul frigo che portano i momenti del viaggio come fossero il viaggio stesso, le collezioni, i bigliettini. Le cose ci tengono attaccati alla realtà, ma non devono essere un ostacolo al ripopolamento del proprio inconscio con nuovi ricordi, nuovi momenti, nuove persone, nuove emozioni. Le cose, in effetti, ci attaccano al passato e anche il passato più bello diviene doloroso nell’accezione di “nostalgico”, si guarda indietro crepuscolari, si fa fatica a non voltarsi per procedere spediti sulla propria strada, sul motto di “chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quello che perde ma non sa quello che trova”. Gli oggettini ci attirano a loro come dei piccoli demonietti che ci vogliono solo per sé, invidiosi del resto, gelosi, insidiosi: io sono il tuo passato, rappresento un momento che faccio ripetere in eterno, non puoi andare via, rappresento una persona che grazie a me esiste ancora, rappresento la tua giovinezza, rappresento la tua infanzia, rappresento te stesso.
Buttare. Prendere e buttare tutto ciò che è di troppo. I ricordi restano, le cose impolverate non servono. Minimizzare e minimalizzare la propria vita, la propria casa, rendersi un contenitore di emozioni e prescindere dall’appoggio concreto a un passato che estende comunque i suoi raggi ad oggi e ci trasporta al domani. Buttare consente di arrivarci più puliti, di compiere un percorso psicologico sul nostro divenire, ci rende liberi. Eliminare le cose tanto belle quanto brutte, soprattutto queste ultime, quelle che riportano a dolori dai quali non vogliamo staccarci. Fare piazza pulita dà un senso di liberazione e consente di introdursi in nuovi stati dell’animo presente, fa sì che con intelligenza si possa creare giorno per giorno la propria vita non rinunciando alle emozioni che, in ogni caso restano; insegna a ricordare tutto senza dover toccare con mano ciò che già non c’è più, riporta alla realtà dell’oggi, permette di rivedere certe persone nella vita vera e smettere di appoggiarsi all’oggettino che arriva dal passato, rende tutto nuovamente presente, garantisce continuità all’essere.
Magari non tutto, ma buttare quasi tutto, dare una bella ripulita alla casa, comprare sacchi condominiali, far sì che si possa passare una mano sulla mensola senza dover spostare decine di cosette impolverate. Tutti questi demonietti, se scalzati dalla libreria e gettati, possono continuare a vivere dentro di noi con i loro significanti, che invece non sono gettati bensì rafforzati dal sentimento e della decisionalità di ricanalizzarli dentro di noi, dove invece hanno tutto il diritto di essere. Non moriranno perché tolti dal salotto o dalla cucina, renderanno però la casa più pulita e avranno finalmente la possibilità di divenire angioletti volanti che tornano in maniera sana. Qualche lettera la si può tenere, ma gettiamo pure la schiuma da barba dell’ex o la scatoletta del viaggio dei diciott’anni. Manteniamo per noi la forza del ricordo e l’intenzione di ricordare tutto.
Romina Ciuffa, 26 maggio 2025
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