IL PRIMO PASSO IO NON LO FACCIO

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IL PRIMO PASSO IO NON LO FACCIO. Ci sono quelle settimane, mesi a volte, anche annualità di litigio che finisce per divenire routine in cui si fa questo penoso gioco di non chiamarsi e aspettare che sia l’altro a fare la prima mossa, per una, due, tre volte, poi si torna un po’ insieme con qualche rancore, e di nuovo litigio e attesa, scrivi tu, io non scrivo, perché non mi hai scritto, sei sparita, amore non ce la faccio più e tante, tantissime frasi tra il serio e il faceto, tra l’amore e l’odio, tra il lasciamoci ed il restiamo insieme, tra l’è finita e il prendiamoci un periodo di riflessione. Nel mio libro Amore mio tu soffri mi sono lungamente trattenuta su questi concetti e, soprattutto, sull’amore in pausa, quello della riflessione. Ma questi giochetti sono ben altro. Si tratta di una necessità, quella dei due, di essere cercati dall’altro totalmente dettata da insicurezza da un lato, orgoglio dall’altro, meglio detto orgoglio e insicurezza totalmente avvinghiati al punto da non sapere dove finisce l’uno e inizia l’altro, e il tutto prescinde, da un certo punto in poi, da chi abbia ragione se ragione ve n’è. E, ai tempi di oggi, si guarda ossessivamente il cellulare, speranzosi, imbastarditi, abbattuti, supplichevoli.

Poi, quando il messaggio dall’altro arriva (ha ceduto), la reazione sarà la seguente: tzè, mi ha scritto, non si merita nulla, continuerò a mantenere il punto. Forte della “caduta” dell’altro, l’uno si mette sul piedistallo (oggi tocca a lui, altre volte no) e si fa cercare per quella nota regola dell’uomo di strada che recita in amor vince chi fugge, la quale, per carità, è vera in certi termini, ma in una trattazione più matura andrebbe sostituita con in amor vince chi resta. Fuggire non è amore, se si corre via è segno che qualcosa non va, che è in corso un battibecco, che ci sono dei chiarimenti che devono essere affrontati attentamente dalle due parti. Che è inutile iniziare il giochino della pausa orgogliosa, giorni e giorni senza sentirsi e poi un “che fai” e la risposta “ho da fare” quasi netta, seguita dall’inutile e incongruente “ho atteso un tuo messaggio, potevi scrivere prima, ormai ho da fare”.

Prima peraltro tutto ciò era più dolce, quasi valeva la pena: sino ad una ventina di anni fa si aspettavano fiori, un invito a cena, delle scuse (pure non sentite ma) plateali e, perché no, la telefonata, un “drinn drinn” sonoro, ma nulla che potesse equipararsi a quel dilaniante senso di fine che si prova nell’attesa di un messaggio whatsapp. È utile? È intelligente? È maturo? Non se ne scappa, a qualunque età e a qualunque quoziente di intelligenza arriverà il momento in cui si aspetterà il messaggio dell’altro e non gli si scriverà manco morti, non importa quante lauree si siano prese. Subito dopo il bip bip, una volta giunto il fatidico “che fai?”, tanto atteso, sognato, reclamato, pregato a Dio, subito eccolo, inizia a salire il piedistallo, dieci, venti centimetri, fino a un metro, per ricreare quel pulpito da dove si predicherà “sei sparito” e si fingerà che le stesse dinamiche non fossero presenti da entrambe le parti e che i piedistalli non fossero due.

In una coppia che è in crisi questo può accadere talmente tante volte da non avere quasi più un senso. Non arrivano inviti a cena o fiori, come ai bei tempi, ma sempre, ineluttabilmente, quegli anaffettivi messaggini che servono a recuperare il possesso in un braccio di ferro che si vince solo a metà. Tale routinaria litigiosità seguita da spazientimento e giorni dolorosi retti da una inutile attesa non sono che il frutto della scarsa comunicazione e comprensione dei due partner che continuano a perpetrare penosi trabocchetti a se stessi, come se quotidianamente avessero bisogno di conferme per le proprie insicurezze. Se uno dei due, poi, decide di interrompere questa catena per riflessione matura (“amore, ci sei?”), i risultati si avranno fino al prossimo battibecco e tanta maturità finirà addirittura per guastare, se non si è affrontato, ancora una volta, il dolente argomento. Questi mezzucci, in realtà, non sono altro che un modo per comunicare tra i due; comunicare che (sono arrabbiati ma) senza l’altro non sanno proprio stare. Ma il primo passo io non lo faccio.

Romina Ciuffa, 5 maggio 2025

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LA SERA VENTI GOCCE DI SESSO

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LA SERA VENTI GOCCE DI SESSO PRIMA DI ANDARE A DORMIRE. Trascorsi molti anni di coppia o di matrimonio, si sente spesso ripetere: “Ormai la vedo come una sorella”, frase più tipicamente maschile che non femminile, sebbene anche la donna non abbia più pulsioni sessuali verso il proprio o la propria partner. Perché, dopo un certo periodo, è quasi “classico” che accada questo, che l’amore venga de-categorizzato a un livello che in questo caso è da considerarsi assai inferiore? In che senso “è come una sorella”, se il rapporto è iniziato già con un incesto? Esistono coppie che, decidendo di rimanere insieme costi quel che costi e perché no, quando l’amore permanga anche attivamente, si continuano a dedicare ad attività sessuali all’interno – non all’esterno – del proprio nucleo di elezione?

Il punto è che la coppia andrebbe educata, quasi costretta, a non dormire, a espletare attività sessuale anche solo mera, senza troppo coinvolgimento, almeno una volta a settimana, quasi come alcuni vanno a Messa la domenica o il giovedì cucinano gnocchi. Dev’essere questa un’attività che non manca mai, tale da non rendere il rapporto di coppia un rapporto fraterno: infatti, dopo che si è verificata quella de-classificazione, sarà molto difficile tornare indietro e riportare la coppia sessuale in auge. Ciò porterà ulteriori complicazioni, la prima delle quali il rischio di uno o molti tradimenti, solitamente da parte di uno solo dei due partner (tali equilibri sono quasi sempre tarati da un lato solo) che a loro volta condurranno a nuovi problemi, tanto da rendere il “rapporto fraterno” solo un lontano ricordo di ciò che era il problema della coppia: infatti, ora e in tale modo, la coppia si sfalda e, sfaldata, non è ricomponibile. Sarà molto difficile, a questo punto, evitare la rottura e, se essa non sopravviene, il dolore attivo o quello passivo dell’indifferenza.

La coppia non è un transformer, è molto difficile che si possa rompere in mille pezzi e ritrasformare in qualcosa di altrettanto valido. E l’amore fraterno è difficile da spezzare in mille pezzettini per ricomporlo in amore sessuale. Quando poi il sesso è trovato altrove, tanto vale lasciarsi. E perché non ci si lascia? Per amore forse?

Non per amore. L’amore è finito non appena è mancato il rispetto. Si resta insieme per abitudine, paura a rimanere soli, indisponibilità ad aprire la mente, indifferenza, noia, menefreghismo. Tutto, fuorché amore. Certo che l’amore è anche l’affetto che si prova dopo tanti anni in una coppia, ma non cadiamo nella trappola di definire quell’affetto ancora “amore”: quello è un amore diverso. Giustappunto, amore fraterno.

Per questo, per non precipitare negli abissi del nulla, del “ti ricordi quando ci siamo conosciuti?”, dell'”io vado a dormire”, dello zapping tra i canali tv e le storie parallele, è assolutamente necessario imporsi di fare del sesso. Non sarà forse speciale come un tempo, sarà una minestra riscaldata, ma consentirà alla coppia di percepirsi ancora come coppia attraverso la violazione dell’intimità dell’altro che sta divenendo sempre più castrante, e soprattutto un’intimità totalmente sua e non più condivisa. Ricorrere a una sessuologa è un’idea brillante. Si faccia l’amore a casa, il tradimento è per dilettanti. La sera, minimo 20 gocce di sesso prima di andare a dormire, almeno una volta a settimana o al dì; aggiungere fino a 300 al bisogno.

Romina Ciuffa, 4 maggio 2025

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TI AMO DA CANI E DA GATTI

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TI AMO DA CANI E DA GATTI. L’amore per essere amore è sempre patologico. Non si spiegherebbe altrimenti il perché necessitiamo di legarci ad una persona costi quel che costi quando già c’è un tipo d’amore che potrebbe saziarci: l’amor proprio. È ottimo provare quelle emozioni verso un’altra persona che ti portano a prenderti cura di lei e a volerlo fare per sempre, pure se poi, in effetti, non solo non si fa per sempre ma nemmeno per poco, perché l’amore si guasta. Domandiamoci: perché tutti gli amori si guastano? Perché la prima parte dell’amore è passione, avventatezza, accudimento, eventuale matrimonio, forse figli, e poi la seconda parte è trascorrere l’intera vita a lamentarsi di esso e a trovare modi di ricucirlo?

Non è allora meglio l’amore per le bestie? Per alcuni, ahimè sì. Quello, in effetti, non passa mai, e l’accudimento sì che non può cessare ad un certo punto della relazione poiché l’animale ne morirebbe e non solo metaforicamente. Non a caso, chi non ha un amore molto spesso sceglie di farsi un cane o un gatto nel mondo occidentale del quale facciamo parte, o altri animali altrove. C’è chi arriva a dedicarsi al cavallo, ma almeno in questo caso si unisce all’accudimento l’hobby. L’amore per i cani è ormai giunto a livelli esagerati con l’acquisto di cappottini e addirittura scarpe e con un attaccamento morboso che rasenta antigienici e inaccettabili comportamenti di tattilità che spesso non si hanno nemmeno con il proprio partner. Agli animali domestici si lascia fare tutto, interamente predominare sulla persona e sulla casa, escono fuori i peli ovunque e cattivi odori ma “l’innamorato” non prova fastidio, anzi, è con essi perfettamente integrato ad onta di ciò che gli altri pensano di lui, quando impone la presenza dell’animale e tutto ciò che egli è, vuole, decide, fa. Ciò non accade con il compagno di una vita del quale, ad un certo punto, si perdono le tracce tattili e ci si limita a una convivenza spesso anche litigiosa dove si vuole sempre avere ragione, diversamente che con il cane, che ha sempre ragione perché è tanto tenero.

Tutto questo è ai limiti del ridicolo, eppure è una “piaga” piuttosto rilevante: preferire l’animale al partner, dargli più attenzioni, baciarlo in bocca senza ricollegare tale azione alle malattie e del tutto sostituirlo al primo. La gattara è quella figura di una certa età (solitamente dai sessanta in su, ormai anche in giù) che raccoglie per strada decine di gatti e li sublima per avere da loro, da tanti di loro, da tantissimi di loro l’amore che si vuole e dare l’incontenibile amore che ha e che non sa dove riversare perché sola, perché problematica, perché gattara (esserlo, spesso, è capo e coda dello stesso problema di solitudine). Idem fa il “canaro” che gira con quattro, cinque, otto cani al guinzaglio e li chiama per nome uno per uno o li impone a cena, nel locale, nelle visite agli altri. Come si può, a queste persone, richiedere un livello di pulizia del corpo e della casa, nonché della loro automobile (sulla quale “non salire” è il consiglio)? Anche volendo, come potrebbero garantire i requisiti minimi di igiene? È davvero possibile sostituire l’amore per una persona con l’amore per un cane? Dare a quest’ultimo molto di più che alla persona che si ha accanto? O del tutto procedere a sublimazione come meccanismo di difesa di chi è ancora solo nella vita o è divenuto solo?

È davvero giusto non dare al proprio partner per tutta la vita o per un giorno solo lo stesso livello di accudimento di un cane, o farlo per sempre come si usa fare col cane finché non muore (e si entra in un vero e proprio lutto)? Come si può andare in giro pieni di peli bianchi in un’auto puzzolente e poi urlare contro la persona amata perché non si trova una maglietta senza darle nemmeno un bacio con la lingua (né incorrendo incorrere nel rischio malattie)? Chiudo qui, o mi innervosisco.

Romina Ciuffa, 3 maggio 2025

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ALTRO CHE “I DUE OPPOSTI SI ATTRAGGONO”

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ALTRO CHE “I DUE OPPOSTI SI ATTRAGGONO”. Un uccellino ed un pescetto possono anche innamorarsi, ma dove metteranno su casa? Tanto si dice che le differenze arricchiscono, nessuno fa i conti con la realtà delle cose: essere diversi non sempre è la cosa migliore. Che i due opposti si attraggano, questo è valido solo per le pile. Non può essere, invece, ritenuto valido per gli esseri umani. Se si attraggono, non è di certo perché sono opposti: si attraggono perché si piacciono, e può piacere tanto un opposto quanto qualcuno perfettamente uguale a sé e, nel mezzo, tantissime sfumature.

L’esperienza d’amore con una persona molto diversa può, all’inizio, essere foriera di grandi novità e conoscenze. A lungo andare, se i due partner non riescono a trovare una quadratura del cerchio, quella diversità potrebbe ucciderli e terminare un amore che è nato non per l’attrazione degli opposti. Ci piacciamo per mille motivi diversi e non ci innamoriamo dell’altro solo perché è diverso, sovvengono molti altri elementi a incanalare le nostre curiosità. Parlare due lingue diverse può essere, in principio, interessante, ma poi, con il tempo, l’incomprensione finirà per fagocitare i due parlanti che, con tanti giri di parole nella propria lingua, hanno provato a dire: non mi piace questa parte di te! I due opposti possono amarsi, ma devono almeno completarsi: c’è diversità e diversità.

Ci sono, infatti, delle diversità che possono incrociarsi: sono quelle, ad esempio, degli interessi. I due partner hanno interessi differenti e questo potrebbe certamente arricchirli, senonché è possibile che proprio questi li dividano. In ogni coppia è necessario tenere spazi privati e non condividere tutto, ma vi sono delle non condivisioni che letteralmente logorano il rapporto. Se l’uno ama il mare, l’altro la montagna, dove andremo in vacanza? Domanda semplice, si dirà, e invece presenta una abnorme complessità nella risposta. Se si risponde “montagna” resta insoddisfatto l’amante del mare, se si risponde “mare” resta insoddisfatto l’amante della montagna. Si dirà: faremo “un po’ per uno non fa male a nessuno”, ma ciò non porta da nessuna parte, anzi, sposta l’asticella del rapporto ancora più in alto. Fare un po’ per uno fa stare male entrambi. Nel caso della montagna, soffrirà chi vuole il mare ma soffrirà anche l’amante della montagna perché, se il trekking si fa insieme, l’altro non si troverà a proprio agio e questo umore dominerà la giornata; oppure l’altro non farà il trekking, così però vanificando il concetto di vacanze insieme (e, inoltre, cosa fare tutte quelle ore in montagna?). Vacanze al mare: l’uno insofferente in spiaggia mentre l’altro felice con la maschera, è questa una ipotesi plausibile? Una volta sì, ma tutte le altre? E quando le ferie sono contate?

Ebbene, la diversità tra marittimi e montanari riguarda intrinsecamente qualunque diversità: culturale, fisica, naturale, psicologica, linguistica, mentale e così via. Quando si dice che i due opposti si attraggono, in verità, si fa riferimento al sesso e alla passione iniziale ma non andiamo oltre, perché oltre si è destinati a soffrire, o l’uno, o l’altro, o tutti e due. Un uccello può innamorarsi del pesce, ma come farà quando quest’ultimo è immerso nell’acqua? Si potrà fidare? E il pesce potrà mai volare? Non penserà mai al tradimento? Si possono fare sacrifici per restare insieme e validare il proprio amore che, si presume, ci sia, ma questi sacrifici varranno la pena? Non si rischia di passare la vita con qualcuno con cui principalmente discutere, litigare, stare male? Mettersi con un pesce è davvero così importante per un uccello? Limitiamoci ai grandi risultati della passione e lasciamo andare l’eternità: pesce e uccello insieme non possono vivere. Che si amino come Romeo e Giulietta.

Romina Ciuffa, 2 maggio 2025

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NEL GIRONE DEGLI AMORI CATTIVI

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Non è che detto che, se la coppia si frantuma, tutto va male e la delusione è in prima fila, l’amore sia davvero terminato. Come possiamo misurarlo, c’è un modo? Forse c’è. In alcuni casi, addirittura, la misurazione dell’amore avviene dalle cattiverie che i partner si scambiano quotidianamente. Come? Non è amore? E, invece, può esserlo.

Ci sono anime totalmente incompatibili che si incontrano per scontrarsi e che poi, una volta accortesi di essere tanto diverse, non vogliono rinunciare l’una all’altra e preferiscono soffrire in eterno, in un girone dantesco. Sono consapevoli del male che si fanno e, a volte, pur provando non riescono a non farsene, eppure vogliono stare insieme. Finiscono, così, per perpetrare sull’altro e su se stesse ogni tipo di dolore e non riescono ad uscire dal girone che è stato loro attribuito: quello degli amori cattivi.

In realtà, queste anime non avrebbero voluto essere cattive. Loro vogliono solo essere se stesse. Ma l’essere se stesse comporta, puntualmente, la lesione dell’altra, una discussione, dunque la reazione e la lesione dell’una ad opera della seconda in un circuito vizioso che, nel corso dei giorno, dei mesi, degli anni, logorerà entrambe. Le due anime non potranno stare lontane sebbene una volta ogni tanto si lasceranno, si distaccheranno, taglieranno i contatti, si dispereranno nel sentire quel vuoto minacciare altissime sofferenze, per poi ricominciare tutto daccapo qualche tempo dopo.”Daccapo”, però, non è la parola giusta: essa, infatti, significherebbe tornare all’amore passionale e alle finezze dei primi giorni. Queste due, invece, si riprenderanno con una paura fottuta che, come in ogni circolo vizioso, tornerà a spaventarle. Si sarà tranquilli per una manciata di giorni, ma non sereni perché ormai è certo: si ricomincerà a disturbarsi, dunque il rapporto sarà vissuto in un grande chi-va-là che non lascerà molto spazio all’amarsi.

Ci sono persone in coppia talmente sole che se si unissero formerebbero due persone sole. Queste sono le vittime dell’amore cattivo, quell’amore che non è necessariamente violento ma che si nutre delle cattiverie cieche delle due, insegna loro a farne, annulla l’amor proprio in ragione di un masochistico bisogno di amore. Si può misurare l’amore nell’amore cattivo? Certo, e si dirà di più: le vittime dell’amore cattivo si amano anche di più, perché accettano tutta la cattiveria pur di stare insieme. Dunque l’amore è misurabile quantitativamente, meno lo  è qualitativamente  salvo considerare l’amore cattivo un tipo di amore.

Si alza l’opposizione di chi risponde: se è amore, non può essere cattivo, l’amore è un grande e intenso voler bene e volere il bene dell’altro. Ne siamo sicuri? È certo che nel mondo si intenda amore come il bene per l’altro? Non sarà che l’amore è, innanzitutto, un’azione fatta per se stessi? Un’azione intrinsecamente egoistica, solo dopo la quale fuoriesce anche la componente altruistica in cui si considera anche l’altro. Nel primo momento dell’amore, si vuole amare perché si è portati a farlo, perché è bello, perché fa bene, perché è un sentimento darwinianamente utile che consente la riproduzione della specie, perché non si vuole restare soli, perché si vuole sesso sicuro, perché è più comodo per fare dei figli. Tutto questo, che non è nulla di altruistico: mai si amerà perché l’altro ha bisogno di quell’amore, perché l’altro non si senta solo, perché l’altro vuole dei figli, perché per l’altro l’amore è bello – peraltro, anche il secondo manifesterà la stessa componente egoistica e non amerà mai perché quell’altro vuole essere amato. Gli amori non corrisposti, altrimenti, non esisterebbero.

Suvvia, una buona dose di occhi aperti e testa sgombera per dire: anche l’amore cattivo è amore, anzi, è un amore anche più grande perché non porta con sé la componente egoistica ma solo le falle dell’animo, quelle che devono essere ricoperte con le parolacce dell’altro per sentirsi, finalmente, capiti.

Romina Ciuffa, 1 maggio 2025

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NON DEVI MAI PERMETTERE DI MALTRATTARTI

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NON DEVI MAI PERMETTERE DI MALTRATTARTI. Certe volte si vive talmente male una relazione da accoglierla proprio così com’è, inermi, senza accorgersi che quel continuo dolore, quel costante forte malessere, quella paura, proviene tutta dall’amore. Bisogna prendere questa paura e farne forza, ma è una paura devastante che blocca l’intera sfera psichica e fisica del maltrattato. È ciò che accade a chi sposa un marito violento – la sua presenza, i suoi costanti abusi divengono pane quotidiano – ma non solo: il maltrattamento può avere la melliflua forma di parole e gesti, e questo lo rende meno riconoscibile; è in grado, però, di provocare gli stessi sintomi in chi lo subisce di una relazione fisicamente violenta, e pure di essere classificato come abuso. Le reazioni dei maltrattati, lividi a parte, sono le medesime. E allora, perché non si lascia il violento? Per la presenza di una forma grave di dipendenza, spesso di codipendenza o controdipendenza narcisistica, tale da poter essere già stata formata ai tempi dell’infanzia o dell’adolescenza da chi ha maturato un attaccamento insicuro, instabile, cosicché chi è stato già oggetto di maltrattamenti, crescendo, quelli torna a volere, inconsciamente. È quella la sua zona comfort.

Ma no, non puoi farti maltrattare. Devi alzare gli occhi, non appena ti dice “ma sei cretina?” o ti insulta perché non fai e dici quello che ha detto, devi avere il coraggio di gridare BASTA. Sarà difficile come l’astinenza da droga ma poi, superato il primo periodo, ci si sentirà immediatamente meglio, come fosse accaduto un miracolo. Non c’è nessuno che meriti un maltrattamento. Maltrattante può essere anche una donna, che infierirà meno con le mani ma lo farà con le parole e gli atteggiamenti. Ti trovi a soffrire ciecamente senza poterti appellare a nulla perché l’abuso è talmente sottile da rendere evanescente quella linea di confine tra la reazione o il silenzio, per il fatto di temere che si stia sbagliando (autoattribuzione) e non che l’altro stia, in effetti, maltrattando e, per ciò, finisci per non reagire. Diviene l’impero dei sensi di colpa.

Mi ci sono trovata, sic, e non è stato bello, non tanto per l’inviso maltrattamento, quanto perché ho sentito di non poterlo perdonare, non potevo chiudere un occhio sull’abuso che da tempo veniva perpetrato su di me, e così in me, ogni volta che mi maltrattava, era sempre più chiaro che non potevamo stare ancora insieme, e questo mi cagionava un ulteriore trauma. Sapevo che, se giustamente avessi reagito, il rapporto sarebbe terminato. Ma insisteva, senza tregua. Sapevo ciò che stava accadendo ed ogni giorno le davo una nuova possibilità, contando l’infinito giorno sul calendario di infiniti giorni, sperando che smettesse di abusare di me; ma ciò non accadeva e mi portava sempre più sotto nel dolore minuzioso, più caparbio, più instabile. Non riuscivo ad uscirne e più guardavo in faccia la realtà più mi chiudevo all’interno dell’odio che quella relazione emanava. Quanto avrei preferito le botte! Sono stata una debole, l’esempio classico della maltrattata, che per non perdere l’amore-ricordo si accontentava di ricordarlo solo. Amato e abusatore sono due persone distinte, non si può volere il primo e far cessare il secondo salvo che ciò non sia fatto in due, possibilmente con consapevolezza reciproca e in un setting protetto come quello di una psicoterapia.

Il maltrattamento è così, è come un marito violento. Non devi mai permettere a nessuno di essere il tuo marito violento. Questo è il raro caso in cui suggerisco un allontanamento, un si salvi chi può allontanamento che farà molto male perché il rapporto con un soggetto narcisista-maltrattante è un rapporto ideato proprio per riempire dei vuoti: nessuno, altrimenti, potrebbe proseguire una storia di abusi, ma lo fa, perché è così che si riesce a coprire delle falle, sia pure pagando un duro scotto. Suggerisco di attendere, lasciare per un periodo l’altro abusare e farsi maltrattare fino alla fine, perché sarà solo dopo aver toccato il fondo che si riuscirà a scomporre amato e abusato e infine si capirà che chi si lascia non è il primo ma il secondo: il primo non c’è più da tempo. Ricordiamoci di non credere nei ricordi, di non farceli bastare, dedichiamoci ad amare ciò che si ha nell’oggi vivo. 

Una volta, in risposta al suo gradasso maltrattamento, ho provato a dire: “Io voglio una storia d’amore, non voglio questo tra di noi, voglio due persone che si vogliono bene e si proteggono, non questo maltrattamento privo di fondamenta. Io voglio una storia d’amore”. Il risultato? Mi ha attaccato in faccia.

Romina Ciuffa, 30 aprile 2025

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DEVI STARE PER SEMPRE CON ME

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DEVI STARE PER SEMPRE CON ME. Sembra il sequel di Misery non deve morire e invece è la vita di tutti i giorni tra persone non solo normali, sin troppo normali. Voi ci credete alla storia di passare l’intera vita con una persona sola, dopo che la si è scelta (ma poi, la si è davvero scelta o ci ha scelti)? Di potere avvicinarsi insieme alla vecchiaia e superarla pure? Io ci credo. Nonostante io stessa sia parte di una generazione che ha conosciuto il divorzio, che si è stancata di tutto, che a cinquant’anni ancora sta pensando se fare o no un figlio, continuo ad attaccarmi a quel barlume di intenzione di trascorrere tutta la mia vita con la persona che amo. Sarà difficile? Sì, moltissimo. Ma l’equazione si risolve facilissimamente: come, quando, davvero è possibile? Sì, se anche l’altro lo vuole. Gli abitanti delle generazioni precedenti semplicemente si amavano (alcuni nemmeno quello) e si sposavano per sempre, e nessuno dei due nella coppia avrebbe mai pensato di terminare la relazione fosse costato ciò che fosse costato. Dunque il trucco è solo uno: sapere che l’altro non ci lascerà mai. Allora nemmeno io lo lascerò, intesi.

È necessaria la sicurezza di avere l’altro. Questa corrisponderà, si badi bene, a molta noia, a consapevolezze quali “basta, non ce la faccio più”, “questa volta lo lascio”, “per me è ormai una sorella” che non prenderanno mai forma né concretezza, a scenari da Sandra e Raimondo (“che noia che barba, che barba che noia”). Sarà facile, se non certo, un tradimento, quando non più di uno, ma la coppia resisterà fino alla fine poiché entrambi hanno deciso di stare insieme per sempre e di vivere di questa certezza. E non per la formula “finché morte non ci separi”, ma per l’importanza di sapersi al sicuro in un mentale eterno.

Non che lasciarsi sposti quella sicurezza: lo fa solo psicologicamente. In realtà, spesso lasciarsi è un toccasana che rende tutto molto più semplice. Ma lasciarsi è complesso, è impossibile, lasciarsi significa immaginare di dover affrontare non solo i giorni e i mesi successivi da soli, senza l’altro solito, ma tutti gli anni a venire, con la paura di invecchiare da soli, di non avere più nessuno accanto, né figli perché non se ne sono fatti né altro, finire, se ci sono soldi, in una RSA, o essere completamente abbandonati. Perché spesso è proprio questo lo scenario che si prospetta a chi è lasciato o deve lasciare dopo aver investito molto in una storia, un futuro tragico senza palliativo.

Io ho sempre creduto allo stare insieme per sempre, eppure ancora non è trascorso il mio per sempre con una persona sola. Crederci non è come farlo avverare, ma che anche solo io lo pensi, forse, e dico forse, potrebbe portare l’altra persona a volerlo quanto me. In tal caso prometto di comportarmi bene anche nei periodi più brutti che ci troveremo a vivere, perché sì, ce ne saranno molti.

Romina Ciuffa, 29 aprile 2025

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UN BEL COCKTAIL DI PSICOFARMACI

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UN BEL COCKTAIL DI PSICOFARMACI. Si può soffrire senza soffrire? In parte è possibile, basta rivolgersi a un bravo psichiatra che potrà prescrivere dei rimedi psicofarmacologici contro il “sentire”. Ve ne sono molti, cito un paio a caso: aloperidolo ed olanzapina, entrambi antipsicotici che hanno il potere, se presi in minime dosi, di alleviare le ossessioni e portare le angosce a un livello più basso. Con questi farmaci, la situazione ansiogena calerà di molto ma di essi non bisognerà abusare e andranno monitorati dallo psichiatra (non dal medico di base) in modo da aggiustare la dose a seconda degli effetti diretti o collaterali. Sarebbe indicato anche non bere e non drogarsi, se lo si fa che lo si faccia in minima parte, sospendendo se possibile tutta questa attività che potrebbe comunque peggiorare lo stato psicologico del soffrente, facendolo soffrire di più. Il cocktail di alcol, droghe e psicofarmaci non è mai consigliato.

Gli psicofarmaci non sono la panacea. Nessuno di essi, anche in un paniere ben agghindato, può togliere quel sentire, quella percezione ferma e stanca del dolore. Non si può soffrire senza soffrire. Si può fare un bel cocktail di psicofarmaci e aspettare che passi, ma è come l’influenza: se non curata dura sette giorni, se curata dura una settimana.E poi c’è la regola: storia durata quattro anni, due anni per terminarla, storia durata dieci anni, cinque anni per terminarla, è sempre 2 a 1. Pertanto, se si soffre per amore (la fine di una storia? Un tradimento? Incomprensioni?), e se si soffre tanto per amore, bisogna cedere e decidere di continuare a sentire, anche senza psicofarmaci se Dio vuole. Prendere due settimane, due mesi, due anni per soffrire a più non posso cercando di non perdere gli amici e il lavoro e, da tutto questo dolore, riemergere diversi, sfiancati, logorati, ma uscirne. Tutti sapranno che tu stai soffrendo perché non potrai farne segreto e chiederai gli aiuti più improbabili, posto che la psicoterapia non riesce nel dolore d’amore.

Bisogna farsi forza e affrontare questo incubo ad occhi aperti, non si può nulla contro il dolore d’amore. Si può migliorare le situazioni ma il dolore resterà tale: cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, un tradimento è un tradimento, essere lasciati è essere lasciati, lasciare è lasciare, incomprensione è incomprensione. La terapia di coppia può servire nel primo e nel quarto caso, ma nel tre e nel due – la fine di una storia – non c’è più coppia, resta solo un irruente stato d’animo angoscioso che non vuole fare i conti con altri se non con te. Sei già un turbine, un fiume in piena, i tuoi amici ti aiutano ma alcuni hanno preso ad evitarti, sei per un periodo classificato come “quello che sta male”, prima o poi finirà ma intanto perdi tutto. Pensa se non ci fossero quegli psicofarmaci.

Quello che voglio dire è che gli psicofarmaci possono aiutare snì, gli amici possono provare a farlo, ma il dolore d’amore è tutto dolore tuo e lo devi accogliere, accarezzarlo, tenerlo con te e non visualizzarlo più come una cosa nera buttata in mezzo allo stomaco, iniziare a vederla con dei fiorellini, un po’ di bel tempo, l’odore di erbetta. In mezzo alle gole del dolore passiamo tutti, non facciamocele franare addosso. Butta giù quegli psicofarmaci e inizia la tua giornata con l’angoscia, via via cambierà, nelle ore, nei giorni, nei mesi, negli anni, cambierà e poi finirà. Si può soffrire senza soffrire? La risposta è no.

Romina Ciuffa, 28 aprile 2025

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LA REGOLA DEL BACIO

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LA REGOLA DEL BACIO. Se non ti bacia in bocca e con la lingua la storia è finita. Potresti andare avanti comunque per molto tempo, l’amore forse c’è ancora (è da vedere, non da dare per scontato) ma va sperimentato, comprovato, messo alla prova. Se ti sta bene così, puoi lasciar correre anche per anni in una relazione di pura fraternità (nella quale, probabilmente, uno dei due tradirà), ma per sentire quanto amore c’è il trucco è uno solo: quanti baci in bocca si danno e quali, quantità e qualità.

Questa prova del nove è universale. In ogni coppia arriva quel momento in cui i baci non sono più la cosa essenziale e nemmeno una cosa rilevante, ma non ti mettere in questa situazione, non arrivarci, se ci arrivi cambia le cose o lascia. Senza voltarti indietro. E il sesso, il sesso c’è? Quello che poi dovrebbe essere chiamato amore, “Fare l’amore” e non “scopare” o “fare sesso” o “trombare” o tutte le volgarità del mondo: innanzitutto vediamo se c’è il fare l’amore. C’è? Probabilmente no, e se c’è è di una noia mortale, perché se non si sente la voglia di darsi baci in bocca figuriamoci quella di congiungersi carnalmente. È evidente che se si fa è un po’ per esigenza fisiologica, un po’ per senso di colpa, un po’ per non rendere l’altro tuo fraterno amico. Non vale contare qualche “bottarella” qua e là.

Idem per il sesso: ce ne fosse, l’amore potrebbe ancora mettersi in dubbio ma con una certezza, che la parte fisica (non fisiologica, esattamente fisica) è rimasta e si sta bene insieme nonostante sia solo sesso. Se c’è solo sesso la storia non è finita del tutto, ma andrà verificato, attraverso la regola del bacio, quanto amore è rimasto. Altrimenti il solosesso non vale, diventa un punto sprecato, per carità ottimo allenamento, esercizio fisico, piacere se accade, ma non altro. Farà rinsecchire ancora di più il rapporto perché, se durante il sesso non si sente amore, alla fine del sesso si sta anche peggio. Parlo di chi si fa questa domanda: ci amiamo ancora? 

Perché ci sono molti che rimangono insieme solo per rimanere insieme, la funzionalità è esattamente nella cosa intrinseca, senza giri di parole. Comincia ad annotare dentro di te le volte in cui si mette a letto con il telefonino, in cui non ti abbraccia, in cui la parte sua è la sua e la tua è la tua, in cui non ti si mette addosso anche solo per dormire. E poi applica la regola del bacio: se non ti bacia più, se dimentica di farlo, se ti dà in caso bacetti sulla fronte, se non tira fuori la lingua, stop. Non ci pensare, prendi l’ascia e lascia. Vuoi confrontarti con il tuo partner? Benissimo. Periodo di prova? Anche meglio. Dopo qualche tempo, si tornerà esattamente al punto di partenza, come in un esecrante gioco dell’oca. 

Romina Ciuffa, 27 aprile 2025

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SI FACCIANO PENSIERI LUSSURUOSI

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SI FACCIANO PENSIERI LUSSUOROSI. Quando passano gli anni, com’è la sessualità? O meglio, è d’uopo sentirsi in colpa o strani o meno innamorati perché i rapporti sessuali non sono più come una volta? Questo accade a tutte le coppie ed è totalmente normale. L’uomo per selezione naturale a un certo punto dovrebbe andare a caccia, una volta che ha messo incinta la partner dovrebbe continuare la sua opera di procreazione, secondo il darwinismo; la donna dovrebbe fare la mamma e, fino a che è in tempo continuare a procreare, biologicamente ciò termina verso i quarant’anni. La Chiesa ha preso questi orari biologici e li ha resi un credo, imponendo così che ogni atto sessuale sia fatto ai fini della riproduzione e bandendo ogni altro tipo di sessualità, anche nelle righe del proprio feudo nel quale però ciò non rispettato, essendo molto comuni e noti gli atti omosessuali fra soggetti ecclesiastici di ogni tipo e livello.

La risposta è: sì, è normale che a un certo punto rapporti diventino occasionali e ci sia meno voglia di rapportarsi all’altro e con l’altro. Gli uomini in questo caso spesso e volentieri tradiscono, le donne possono tradire, la maggior parte finirà per guardare il soffitto e passare il tempo in altro modo ma con un groppo alla gola, con la noia esistenziale, con l’autostima crollata. Quando c’è amore a questo potrebbe ovviarsi, ma nelle coppie datate (anche solo un decennio è sufficiente per invecchiare enormemente la coppia, soprattutto quando non v’è un progetto più amplio, come l’avere dei figli) è assai naturale che il sesso divenga quasi un tabù e non solo non si faccia più ma anche non se ne parli più.

Chi ha più prudenza l’adoperi: tale problema porterà senza dubbio alcuno al tradimento di una delle due parti e ancor più spesso, con o senza tradimento, alla fine della coppia. È necessario mettere subito nero su bianco e parlare dell’assenza di sesso, provare ad aggiungerlo nuovamente, non fare finta di niente come è d’uso fare. Se possibile, economicamente e mentalmente, si può ricorrere a uno psicoterapeuta di supporto, ma non è obbligatorio. Ciò che è obbligatorio, invece, è prendere atto dell’assenza di amore sessuale, della discesa del tatto negli inferi, della “fratellizzazione” della coppia, e tornare a toccarsi senza dire più a se stessi: “Mi sembra di stare con mia sorella”. Non è così, ci si impegni, si facciano pensieri lussuriosi. L’amore sessuato non è una bazzecola, deve essere sempre presente, se ne deve parlare, si deve fare, deve coesistere, senza vergogna; il non sesso è la prima causa di fine di una storia, non lasciamoci confondere dai ragazzini che girano per casa.

Romina Ciuffa, 26 aprile 2025

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