DIVORZIO: LE FANTA-NOZZE, UN GIOCO DA TAVOLO

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IL FANTA-NOZZE DELLA LEGGE SUL DIVORZIO. L’amore eterno esiste? Non se esiste il divorzio: esso legittima più amori e rende la vita più facile. L’amore finisce anche solo perché Darwin lo ha ritenuto il meccanismo di selezione della specie atto alla riproduzione. Ci piace dire che l’amore è eterno perché abbiamo paura della solitudine, di morire da soli, anche di vivere da soli. Fare i figli in realtà prescinde totalmente dall’unione, è possibile procreare anche senza conoscersi, come fanno gli animali o con l’aiuto della scienza. Tutto questo è, oggi, largamente ammesso nel mondo occidentale. Se, prima, al matrimonio poteva succedere solo il matrimonio, giacché il divorzio non era consentito, in Italia le istanze sociali si andarono rispecchiando nei loro rappresentanti attraverso l’asserzione dello stesso legislatore che, prendendo atto dei limiti della coniugalità, nel 1970 scrive la legge n. 898 (anche detta Fortuna-Baslini) contenente la disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, riconfermata dai risultati del referendum abrogativo del 1974 facendo crollare, così, uno dei più grandi capisaldi della concezione di famiglia italiana, oramai appannaggio della sola Chiesa: l’eternità delle nozze. Sono crollati con esso anche i sensi di colpa? I tempi moderni hanno accolto, in tutto il mondo, l’idea di un’unione non eterna, che possa essere sciolta proprio come la si è creata. Solamente due Paesi nel mondo occidentale ora non consentono di divorziare: Città del Vaticano, per le ragioni che non è necessario esporre, e le Filippine, nelle quali il percorso verso una legge divorzista è già iniziato.

In via generale, i matrimoni eterni sono durati fino alla legge sul divorzio o fino a che i valori non sono cambiati? Ovvero: è stata l’istituzione del divorzio a far sì che i valori cambiassero rafforzando la volatilità dell’unione coniugale, o le nuove generazioni hanno portato a galla la già presente necessità di poter sciogliere il vincolo coniugale che, in quanto esistente, è stata vista e regolamentata? È nato prima l’uovo o la gallina? A ben vedere, la legge divorzista è stata invocata da molti, ma non da tutti (tanto che nel referendum abrogativo la vittoria dei divorzisti avvenne per un pugno di voti in più). In quegli anni, le coppie (quelle dei nostri nonni e dei nostri genitori) «erano abituate a non lasciarsi», si legavano saldamente e trovavano giocoforza soluzioni ai conflitti che, immancabilmente, si verificano in una relazione. Dopo la formalizzazione del divorzio (in Italia come altrove) si sono viste sempre più coppie sfaldarsi: ma quanto si sono sforzati i partner di mantenersi solidi insieme, cercando soluzioni?

Quanto si è pensato, prima di sposarsi, all’opportunità di farlo? Con l’arrivo del divorzio lampo – istituito in Italia nel 2015 per consentire di divorziare decorsi un anno dalla separazione, nel caso giudiziale, o sei mesi, nel caso consensuale – è risultato ancora più semplice lasciarsi, senza dover affrontare lungaggini che, nell’ambito della coppia, risultavano ostiche (una fra tutte, il tentativo di riconciliazione). Ciò ha, probabilmente, incentivato un vero e proprio «mercato delle coppie» – sul quale ben si riflettono i gossip dei famosi – in cui esse, unendosi e sfaldandosi, turnano e ruotano in un gioco di matrimoni e divorzi fra diversi soggetti in successione, portando alla luce anche il tema del mantenimento e della cura dei figli, dinamiche che sembrano corrispondere ad un gioco da tavolo, un «fanta-nozze».

Il matrimonio è diventato, così, «un» contratto tra i molti che possono stipularsi nel corso della vita; il primo, il più importante perché più ingenuo, può durare per un periodo iniziale corrispondente alle età di crescita dei figli avuti in comune; i successivi avranno una durata mutevole e potranno essere vari, anche forieri di ulteriori figli. Si veda, allora, come si è tornati alla funzione economica del matrimonio: come secoli fa, anche adesso l’essere umano è potenzialmente monogamo fintanto che uno dei due partner si occupa della famiglia e l’altro è protetto durante la gravidanza, lo svezzamento e la prima fase dell’educazione – ciò vale, mutatis mutandis, anche per le unioni omosessuali con i mezzi che hanno a disposizione per la genitorialità. Prevedendo la possibilità di interrompere il patto formale, si è scelto di dare uno stop formale all’amore formale: la scala che si è percorsa insieme porta, in questi casi, a un piano terra dove è possibile ricominciare, a una nuova era per entrambi.

Sembrerebbe di poter rispondere alla quaestio qui mossa – chi è nato prima – che l’istituto del divorzio ha costituito la richiesta di una società che già non accettava si disponesse solo in un senso del proprio diritto (liberi di unirsi sì, e allora perché non di separarsi?) perché sentiva, nelle proprie maglie, l’esigenza che la firma non fosse messa col sangue; nel contempo, proprio la possibilità di separarsi ha fatto non solo separare molti, ma anche sposare: infatti, sapendo di non dover più avere un tempo infinito matrimoniale, gli stessi matrimoni sono stati incentivati e così, come un gatto che si mangia la coda, la legge sul divorzio ha creato più matrimoni che hanno creato più divorzi. Postilla: parlare di valori qui non equivale a dire che matrimonio uguale valore positivo, divorzio uguale valore negativo. Un sistema valoriale completo include tanto l’unione quanto la fine dell’unione: con l’ammissione del divorzio si ottiene, pertanto, un sistema valoriale più ricco, che riflette le esigenze della società e, dunque, includendo il divorzio, lo ammette tra quelle.

Se, nonostante la possibilità di divorziare, la coppia non si sfalda, rimane unita – vuoi per assenza di gravi dissidi interni, vuoi per l’impegno di entrambi nel risolverli, vuoi per la paura di rimanere soli – ed arriva, così, alla vecchiaia, si sperimenterà una forza spesso più perentoria e incisiva di quell’amore romantico che si credeva abbandonato tanti anni prima, destinato a tornare proprio in veste di amor maturo e, a maggior ragione, amore anziano, libero dalle incertezze e dagli sgomenti giovanili. A un’età più avanzata, l’amore può ritrovarsi o riprovarsi anche per un’altra persona, mettendo in discussione la propria vita e avendo un nuovo approccio col sesso che, in effetti, non viene meno. Si invidiano, forse, i nonni che hanno saputo trascorrere l’intera vita insieme, spesso dandosi ad un partner unico: la loro pazienza, il senso della continuità, la consapevolezza, le certezze, la compagnia e l’essenza dell’altro, tutte virtù che accompagnano l’amore camaleontico, che muta forma e colore nel corso degli anni per adattarsi ai cambiamenti dei due partner, della famiglia, della vita, delle età. Non è poi così male stare insieme per sempre, ma non lo è nemmeno stare da soli.

Romina Ciuffa, 19 aprile 2025

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RIPENSARCI COME I CORNUTI

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RIPENSARCI COME I CORNUTI. Il mio ginecologo tempo fa mi ha detto: «Se ti ha tradito, chiudi subito»: aveva ragione. «Ma io l’amo!», ho risposto io mentre lui ritirava l’ecografo con un colpo secco. Una volta fuori dal suo studio, ci ho ripensato «come i cornuti» ed ho immaginato di essere tradita. Ho replicato dentro di me le vicende di un tradimento per immedesimarmi nel tradito: mi si è gelato il sangue. Ho riflettuto attentamente sino a giungere ad una conclusione, forse azzardata, ma di effetto certo: scoperto il tradimento, bisogna tradire per pareggiare. Solo dopo aver «pareggiato» il tradito troverà conforto e potrà avere un confronto alla pari. Perché applico la legge del taglione? Il livore può essere tale e giustificato nel tradito da non consentire più un dialogo fra i due: il tradito «odia». Per quanto possa apparire immaturo, ribattere con un colpo alla pari (nella metafora o fuor di metafora) è una soluzione eccellente per il tradito che si pone, così, «allo stesso livello» dell’altro, pareggiandosi per far cessare il doloroso stato di dissonanza cognitiva ed emotiva in cui versa. Se ieri commentavo che l’indifferenza è uno sgambetto, non un pugno (a questo link), oggi dico: il tradimento è un pugno, non uno sgambetto, e con un pugno è necessario rispondere. Boxe, è la base per ricominciare. Ora procediamo a parlare dell’altezza.

Se si è traditi si ha un’alternativa al tornare insieme che è molto plausibile e, nella maggior parte dei casi, necessitata: provare rabbia e con l’uso di essa lasciare subito. Perdere tempo, prorogare, temporeggiare non fanno che consolidare una dipendenza. Il traditore punta il dito contro il tradito e sembra che sia quest’ultimo a dover chiedere scusa: non è così. Non serve fare l’inventario delle colpe o imputare l’azione alla monotonia stagnante del rapporto: l’assenza di lealtà ha, ormai, logorato per sempre il rapporto, perché nessuno cambia davvero, l’infedele continuerà a mentire, tradire, incolpare. Dare un colpo d’ascia, inutile fare un patchwork con i pezzi rimasti della relazione, ne verrà una coperta che non arriva ai piedi. Ammetto di essere drastica sull’argomento, molti direbbero di avere una mentalità più moderna poiché accettano il tradimento e ammettono relazioni aperte. Anche io le ammetto, quando concordate. «Un tradimento, che sarà mai?», commentano alcuni quando non sono loro ad essere traditi. Lealtà è la parola chiave per accettare anche la modernità più estrema.

Il tradimento in sé e per sé non è mai causato dal tradito se non nelle narrazioni di eteroattribuzione, dove il traditore legittima il proprio atto come fosse ineluttabile: l’azione del tradimento ha una causa a sé stante, che è l’intenzione del tradimento e che si rinviene nell’atto stesso dell’ingannare, non altra, prescindendo dalle motivazioni fattuali e dalle circostanze espresse nella coppia. Anche quando confessa il tradimento, l’infedele sta manipolando l’altro poiché, pur essendo sincero, non è leale, e confessare gli serve a scaricare le proprie angosce, i sensi di colpa, le responsabilità sull’altro. Lo scaricabarile che il traditore compie costituisce un secondo tradimento. Negli abissi di una solitudine nascente e improvvisamente tanto palpabile per il tradito, un pendolo tra odio e perdono si tradurrà in paura e insicurezza dinnanzi a una relazione dai caratteri ormai indefiniti e incerti che grida: «Avreste dovuto lasciarvi prima!».

Fuggire! Chi mente una volta può farlo sempre. Chi tradisce una volta può farlo sempre. L’arte del mentire è proporzionata all’opportunismo del volere mantenere una relazione stabile da un lato e, perché quest’ultima funzioni, una relazione adultera dall’altro, quando questa non si esaurisca dopo la scoperta. Nel mio libro AMORE MIO TU SOFFRI ho parlato delle possibilità che il tradimento dà per una reidentificazione delle due parti della coppia, tanto da poter essere, in rare circostanze, anche foriero di buone conseguenze, a tratti migliorative dell’amore tra i due. Non voglio rompere le uova nel paniere agli psicologi né tantomeno a me che nel mio libro ho scritto anche dei vantaggi che il tradimento porta alla triade infedele-tradito-amante, ma solo mentre mi immedesimavo nella parte del tradito ho provato panico e angoscia, negli altri due casi ho foraggiato l’evento tradimento, mi sono sentita forte, mi sono sentita leggera. E questo non garantisce la parità ai tre soggetti, rende iniqua la sperequazione al punto da dare un bonus al tradito: tradisca lui ora. Poi basta.

Romina Ciuffa, 18 aprile 2025

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L’AMORE INDIFFERENTE: GUARDAMI!

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L’AMORE INDIFFERENTE: GUARDAMI!. Torno oggi a raccontare l’amore in questo blog che nasce dal mio ultimo libro, AMORE MIO TU SOFFRI. Inutile nascondersi dietro a un dito: l’amore patologico a noi piace. Cognitivamente lo odiamo, ma poi quando è finito ci manca più dell’amore stesso. Soffrire per amore è uno dei maggiori accessi alla felicità perché dà il senso delle cose. Meglio non soffrire, questo è certo, ma anche un amore sereno, felice, si appiattisce e finiamo per esserne stanchi, quasi provati, deboli. La noia, sentimento di intelligenza incantata, sembrerebbe essere il più grande nemico dell’amore, quando l’amore vuol dire sentire e la noia appare dire “non sentire!”.

Ieri sera, a cena con un’amica, abbiamo toccato questi argomenti e abbiamo distinto la noia dall’indifferenza, che è quella che, dopo un certo periodo trascorso insieme “amandosi” o anche solo a causa del carattere di uno dei due partner, l’uno dà all’altro. Lei mi ha detto: l’indifferenza è una forma di violenza, mentre le parlavo della sofferenza di non essere visti in una coppia, di non essere stimati, ammirati, seguiti, ascoltati, bensì essere “solo amati”. Che fortuna!, direbbe qualcuno: eppure no. Dare indifferenza o farla provare è una violenza melliflua, mi diceva, poiché è lì ma non la si può accusare, è come uno sgambetto, non un pugno. Le ho dato ragione. C’è chi pagherebbe per “sentirsi amato”, senza calcolare che amare non include necessariamente amore: l’amore si presenta con l’amare, certo, ma è “di più”, è vedere, ascoltare, abbracciare, coccolare, guardare, modulare, sapere, partecipare.

Stamattina ascoltavo una conferenza di Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova (a questo link) che, parlando della neuroplasticità del cervello, indicava la necessità delle carezze in un senso molto ampio: conoscerle innanzitutto, ed impiegarle per far sì che ciascuno possa vedere il futuro non come l’attuale ansia o angoscia suggeriscono, contro le quali il cervello cognitivo non può nulla e che mettono a rischio la salute dello stesso individuo, bensì nel senso di una iniezione preziosa di ossitocina. Inutile dire: “Non soffrire!”, “Non temere!”, “Il tuo cervello deve far sparire i tuoi attacchi di panico!”, perché è impossibile per la nostra struttura cognitiva, che impiega anni per imparare anche solo a parlare, avere potere sulle strutture che comandano le emozioni, le quali hanno milioni di anni evolutivi in meno: è la dimensione di potere che avrebbe una pozzanghera rispetto a uno tsunami.

Ma un modo c’è. Basterebbero trenta secondi di carezze per alleviare una persona da un dramma: il sistema neurale comanderà all’amigdala di produrre l’ossitocina perché avvengano tutti i meccanismi di cura. Quando non si può accarezzare, è sufficiente anche solo guardare, modulare il tono della voce, svolgere azioni empatiche – è in questo modo anche che devono dirsi i “no”. Così nell’amore. L’indifferenza nuoce; non si può smettere di carezzare, guardarsi, parlarsi con toni dolci e modulati. Non si può dare indifferenza o si deve ripensare l’amore (non c’è o non è buono). Bisogna mettere complicità nel rapporto per affermare un amore grande, immenso, meno doloroso di altri; serve dialogo, il vero e proprio colloquio, il ricevimento dai professori in cui la coppia parli senza timori della coppia stessa e ciascuna delle due parti sia in grado di dare e avere senza urla, minacce, paure (che, altrimenti, rimarranno nel cervello neuroplastico ad interpretare il futuro).

Il dolore dell’indifferenza dell’altro alle volte è talmente irriconoscibile da far sentire in colpa chi lo prova: quella sensazione di insoddisfazione, di angoscia, di flebile paura ogni volta che si voglia dire qualcosa. Tornare a casa con una pagella piena di 10 e sentirsi dire: “Hai fatto il tuo dovere”, questo avviene anche in amore, quando l’uno non si interessi degli interessi dell’altro, delle sue conquiste, delle sue vittorie, ma metta al centro della vita di coppia le proprie. Questo amore va ritoccato. Entrambe le parti devono rendersi conto non solo dei propri limiti, ma anche dei punti che convergono in un insieme, ossia della loro sconfinatezza d’amore. Il male di indifferenza deve poter essere dichiarato e accolto senza che nessuno si arrabbi. Se è difficile, se si litiga, è utile il ricorso a un mediatore, uno psicologo, ma non si lasci questo scomodo parassita così, a tormentare, a mietere.

La solitudine è qualcosa di estremamente positivo, che deve essere incentivato come meccanismo di sopravvivenza e di amor proprio; ma se la solitudine si sperimenta all’interno di una coppia, ossia di un duo, essa diviene presente, pressante, un meccanismo di difesa totalmente corroborante destinato a logorare l’amore. Si provi a ballare insieme, con della musica che piaccia ad entrambi; si cucini insieme, anche se uno dei due non sappia farlo; si provi a camminare mano nella mano, l’uno insegni una cosa all’altro; si facciano domande e si rimanga ad ascoltare la risposta e darvi seguito; si diano baci qua e là nella giornata, sparsi, senza ragione; si stimoli il sesso, che stimolerà a sua volta l’amore. Ma non si resti soli ad essere soli, la solitudine non è amore, non è coppia, non è due. 

Romina Ciuffa, 17 aprile 2025

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AMORE MIO TU SOFFRI

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Riapro questo blog (su rominaciuffa.blogspot.com) per intitolarlo al mio ultimo lavoro, il libro AMORE MIO TU SOFFRI uscito il giorno di San Valentino di questo anno 2025, e al prossimo in uscita, la raccolta di poesie AMOR-TE che nei prossimi giorni sarà in libreria. Con la semplicità del blog (più difficile un libro) intendo approfondire ancora di più l’argomento ed intrecciare le maglie dell’amore doloroso per farne un pullover caldo da indossare.

Non v’è nessuno che, anche solo per un attimo, non abbia sofferto per amore nelle sue varie declinazioni, non abbia detto “chi me lo fa fare”, non abbia chiesto a un proprio amico “tornerà?”, non abbia mentito per coprire marachelle o errori sensazionali. Non v’è nessuno che non si sia svegliato un giorno parlando di “panico”, anche se per panico si intendono, a seconda di chi lo sperimenti, mille cose diverse, di cui affronterò le realtà. Non v’è persona che non abbia detto “amare mai più”. Un blog sull’amore patologico, perché?

Seguendo le argomentazioni del mio ultimo (e primo) libro, un saggio sull’amore che soffre attraverso il quale – con parole complicatissime, frutto di un flusso di coscienza, praticamente illeggibili (le mie) e parole di prima intuizione, romantiche, sofferte, dei vari poeti e scrittori che si sono soffermati sull’argomento – ho tentato di produrre una lista (non esaustiva ma) descrittiva degli amori più dolorosi.

Iniziando dal numero uno, l’indefesso amor tradito: non c’è cosa peggiore, per l’amante, del tradimento. Esso è qualcosa che non si può affrontare se non abbandonando la relazione oppure, nel caso contrario, permanendovi ma solo con la complicità dell’amato traditore che, però, difficilmente si presterà a mettersi in gioco, nonostante il suo errore. Un errore che questiona l’essere stesso dell’amore e che, per questo, è molto pericoloso per la coppia. Si passerà poi a sindacare l’amore ossessivo, l’amore dipendente, l’amore crocerossino, finanche l’amore dell’amante e tutti quei tipi di amore che fanno soffrire, fino a giungere al vero numero uno, il più orribile e complesso di tutti: l’amor proprio. Perché è così: l’essere che noi facciamo più difficoltà ad amare è proprio “sé”, quell’insieme di dolori ed emozioni contraddittorie che faticano a mettersi davanti a tutto il resto e, così, non permettono all’amor proprio di avere il sopravvento su un’ossessione, una dipendenza, un tradimento, ma lo destinano a un luogo di perdizione.

Da oggi racconterò tutto ciò che sentirò e vedrò sull’amore, mio e di altri, una sorta di LOVE AND THE CITY che poco ha a che fare con il sesso perché, paradossalmente, spesso è proprio dall’assenza di sesso che le complicazioni hanno inizio e si comincia a non distinguere più tra amore e dipendenza. Qualcuno ha detto, qualcuno ha ripetuto, qualcuno fino alla nausea ha imposto: “Ama prima te stesso, solo poi sarai in grado di amare l’altro”. Non sono del tutto d’accordo. Amare se stessi può partire anche dall’amore per l’altro dal quale si apprende proprio ad amare, una bomba di neuroni specchio pronta ad esplodere se scossa bene, come amor proprio vuole. È il dialogo estremo tra i partner che può sostituirsi allo “stai da solo, meglio”. Stare da soli è buono. Non credo che nella vita si debba necessariamente stare in coppia. Sono più della visione descritta anche in “Tremila anni di attesa (Three Thousand Years of Longing)“, diretto da George Miller, che ho visto ieri sera: tanto in quella di Alithia, la protagonista solitaria che dopo un tradimento e la fine della sua storia con Jack decide di rimanere sola in eterno, quanto in quella dello stesso genio, imprigionato in una lampada, che ogni volta che ne esce si innamora di chi l’ha strofinata che, però, non lo libererà mai perché, paradossalmente, è più difficile esprimere i desideri che averne e basta.

Per oggi chiudo qui questa breve introduzione sull’amore sofferto come l’ho visto nei miei libri e come lo sento ogni giorno che, sempre di più, soffro per amore. Perché c’è anche da dire questo: l’esperienza non consente di crescere, come in altri campi, piuttosto sembrerebbe che più ci si faccia male più si sarà in grado di farsi ancora male, contro tutto e tutti coloro che dicono: “Non puoi tornare a soffrire come nell’ultima storia”, con il corollario di un’affermazione mistificante di quel povero noi stessi che non riesce a non dire: “Ma questa storia è diversa!”. E sì, sono sempre diverse ma alla fine sono tutte uguali, il dolore non si impara, piuttosto permea l’animo umano ed il corpo stesso, induce ad affezionarsi ad esso e a dire, quando torna: “Quanto mi sei mancato!”, perché provarne non è poi così male. Sì, “si vive una volta sola”, “stai sprecando gli anni più importanti della tua vita”, ma intanto essi passano e l’amore resta, prima per l’uno, poi per l’altra, mai per se stessi.

Romina Ciuffa, 16 aprile 2025

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PER RICONQUISTARTI NON FARÒ NULLA

PER RICONQUISTARTI NON FARÒ NULLA

Per riconquistarti non farò il bello e il cattivo tempo,
per riconquistarti. Lascerò che le stagioni seguano il proprio corso.
Non influenzerò nemmeno un elemento.
Il sole non sarà essenziale
perché non è con il sole che ti riconquisterò né con il mare.
Non ti riavrò su una carrozza trainata da cavalli neri
sulla spiaggia, non ti darò l’amor cortese né, saggia,
sparirò per farti sentire l’aspro suono del mio silenzio.
Eviterò persino di compiacerti, di piacerti,
per la mia antipatia mi amerai, e i miei deserti. Se deve piovere, pioverà. Molto. Troppo.
Non troverai negri a vendere ombrelli,
durante l’acquazzone i cornicioni riparatori saranno improvvisamente assenti
e spariranno i duomi.
Più probabilmente sarà con la tempesta e i tuoni che ti verrò a prendere
per portarti via come un uragano fa.
Augurati belle giornate se non mi vuoi
perché di belle giornate non ho bisogno
per riaverti.
Auspica.
Per riconquistarti non citerò una banale luna solo perché piena, o calante, o crescente,
o bianca, o eterea, né mi stringerò
al fugace erroneo mal interpretato ti amo
dei tuoi occhi che, terrorizzati, guardano i miei mentre a riferimento hanno i nuovi che quotidianamente
si aprono su di te che mi sarai padrona.
Non ricorderò l’Arena di Verona,
troppo stretta per contenere la mia serenata,
non ti porterò cannoli siciliani
e men che mai una cassata,
non cucinerò sassi che hai già ingoiato,
non correrò, fretta non avrò,
e non sarò brillante, mi troverai struccata,
non lavata,
con indosso uno straccio qualunque
e le labbra non bagnate del bacio di un’altra.
Una musica sgradevole,
uno snack bar di provincia
e, al bancone, una vecchia testarda
che non sa fare caffè.
Non mi rifarò, per riconquistarti, né ai grandi
né ai piccoli poeti, non mi illuminerò di immenso e tantomeno su un ermo colle l’orizzonte da una panchina cercherò
infastidita da una siepe, né – amore, amore – vorrò coprirti di fiori e d’insulti,
non sarò affatto come quella foglia sul nudo ramo che un prodigio ancora tiene attaccata, e non sola né pensosa i più deserti campi
andrò misurando a passi tardi e lenti.
Non sarà neanche lì che tu mi ritroverai.
Mi ritroverai dove muoiono i poeti e le parole,
e accadrà molto prima che tu possa dire sì, ti amo, è nel no, non ti amo, che dirai ti amo.
Per riconquistarti non ti chiederò nulla,
sarò solo la presenza costante delle strade
sotto i passi che compi per tornare.

Romina Ciuffa, 2016
pubblicata in “Rassognazione”, https://www.booksprintedizioni.it/libro/Poesia/rassognazione




PSICOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA: DA GAGARIN AL CONVEGNO ITAPA

di ROMINA CIUFFA. La Psicologia dell’Astronautica inizia nel 1961 con il lancio del primo uomo nello spazio. Alla pubblicazione “La psicologia e il cosmo”, che Jurij Gagarin (astronauta che il 12 aprile 1961 compiva il primo volo orbitale attorno al globo) scrisse insieme a Vladimir Lebedev, può farsi risalire – dicono – il primo testo di psicologia dell’aviazione, del tipo spaziale. Il volumetto era già pronto, ma venne pubblicato postumo: uscì dopo la scomparsa – avvenuta il 27 marzo 1968 nel corso del collaudo di un aereo sperimentale, precipitando con l’apparecchio in un campo a trenta chilometri da Mosca – del suo autore astronautico, colto dal fascino pioniere di una nuova umanità volante e stellare, e da emozioni che aveva già messo per iscritto in “Non c’è nessun dio quassù” e in “Quello che ho visto nello spazio. Psicologia e cosmo nell’esperienza del primo uomo a volare tra le stelle”. Cosa è dei valori dell’uomo, del suo legame con il mondo, con la vita a terra, con i suoi cari e con l’umanità in genere, quando si trova immerso in un’atmosfera estranea a tutto ciò che è “esistenza” o “casa”? Come sono alterate le percezioni, le valutazioni distorte, modificati i criteri di obiettività? Cosa vuol dire essere lontanissimi dalla comfort zone?

Probabilmente, come in guerra, si arriva facilmente a raggiungere un disturbo da stress post traumatico, seppure, anziché la trincea o la morte dei soldati, l’uccisione dei nemici, le ferite, si viva l’esperienza più grande ed “esistenzial-attiva” che una qualunque forma sulla Terra (dalla foglia al girino all’uomo) possa sperare di compiere. E, guardando indietro, non si vede una trincea, non si sente l’odore del sangue: lì, guardando dietro a sé, si staglia un muro di grandezza e infinità, il muro dello spazio. Ossimoro che può spingere chi è stato lassù – per la prima o per l’ultima volta, in un giro orbitale o mettendo il piede sul suolo lunare, lavorando o semplice passeggero miliardario di una missione “sightseeing” – a morire di “nullità”.

Fu attribuita a Gagarin la frase “non c’è nessun dio quassù”, ma sembra (da quanto dichiara colonnello Valentin Vasil’evič Petrov, docente presso l’accademia aeronautica militare intitolata allo stesso Gagarin, suo intimo amico) che fu il politico Nikita Chruščëv a pronunciarla per sostenere la campagna antireligiosa dell’epoca (“Perché state aggrappati a Dio? Gagarin volò nello spazio, ma non vide Dio!”, aveva detto nel corso di una sessione plenaria del Comitato centrale del Partito comunista sovietico). Di certo la sua psicologia, però, ne fu colpita, a prescindere dall’anelito spirituale, e il poeta Salvatore Quasimodo parlò di una esaltazione della “intelligenza laica dell’uomo” relativamente al carattere essenziale del volo di Gagarin, come riportato nella quarta di copertina del testo pubblicato da Editori Riuniti. Tanto che “La psicologia e il cosmo” può essere considerato il primo testo di Psicologia dell’aviazione.

Lo fece notare anche Vladimir Lebedev – primo essere umano a lasciare la sua capsula spaziale per rimanere sospeso liberamente nello spazio compiendo la prima attività extraveicolare della storia – a Lorenzo Mezzadri, presidente dell’Italian Flight Safety Committee (IFSC), l’associazione italiana di esperti di sicurezza del volo impegnata nel miglioramento della sicurezza aerea all’interno della comunità aeronautica italiana. L’Italian Flight Safety Committee nasce sull’esperienza di quanto già realizzato con successo in altri Paesi: Stati Uniti (Flight Safety Foundation) e Regno Unito (UK Flight Safety Committee). La denominazione anglofona dell’associazione è frutto di questo retaggio.

Mezzadri ne parla nel corso di un incontro – lo scorso 6 maggio a Roma – in cui si sono riuniti i maggiori esperti italiani ed europei sulla psicologia dell’aviazione per il primo convegno organizzato dall’Associazione italiana Psicologia dell’Aviazione (ITAPApresieduta da Alessandra Rea, sodalizio formato da psicologi ed esperti di human factor che opera dal 2019 e che rappresenta oggi il polo italiano di aggregazione culturale sul tema. Alla presenza di Alessio Quaranta, direttore generale dell’ENAC, Maurizio Paggetti, CEO dell’ENAV, e David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, che lo hanno introdotto, si è snocciolata la tematica dell’Aviation Psychology e della salute mentale e benessere dei professionisti dell’aviazione, includendo la parte spagnola con Adela González Marín (presidente dell’AEPA, Asociación Española de Psicología de la Aviación) e Francisco Santolaya Ochando (presidente del Consejo General de la Psicología).

Mezzadri, oltre a presiedere l’IFSC, è docente presso l’Università La Sapienza di Roma della materia Psicologia aeronautica ed aerospaziale, insegna presso l’Ispettorato superiore di Sicurezza del volo dell’Aeronautica militare italiana e presso l’Università statale “MGU” di Mosca, è ricercatore negli studi sul fattore umano nei voli spaziali internazionali di NASA, ESA e Rosskosmos e lavora con l’ATO Urbe Aero.

Riassume Mezzadri: 

“Nel 1957 si lancia lo Sputnik, ed è la prima volta che un oggetto costruito dagli umani riesce a superare l’atmosfera e a rimanere in orbita; nello stesso anno il primo essere vivente, la cagnetta Laika (il nome non era quello, “Laika” si riferisce alla razza) viene lanciato nello spazio. Si arriva alla psicologis aerospaziale con il 1961, quando l’Unione Sovietica lancia il primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin, dunque la prima donna nel 1963, Valentina Tereskova. È del 1965 la prima attività extraveicolare (EVA), la prima volta che un uomo apre un portellone di una nave spaziale ed esce con la propria tuta, senza sapere se potrà sopravvivere a temperature estreme, mancanza di ossigeno e di atmosfere: fu Aleksej Leonov, con cui ho avuto l’onore di lavorare, che è venuto a mancare poco tempo fa, innamorato del nostro Paese e della psicologia: fu proprio lui a regalarmi un libro, che considerava essere il primo libro sull’Aviation Psychology, scritto dallo stesso Jurij Gagarin insieme a Vladimir Lebedev”. 

Prosegue:

“Il primo volo sulla Luna, Apollo 11, è del 1969; del 1971 la prima stazione permanente Salyut 1, del 1975 il primo incontro e attracco nello spazio tra Usa e Urss con Apollo e Soyux con Aleksej Leonov. Era momento di massima tensione tra i due Paesi, e i due presidenti di allora avevano deciso di dare un segnale di disgelo e di mandare i loro uomini nello spazio per mostrare che si poteva dialogare, e mi fa piacere dirlo adesso, nel momento in cui stiamo, sperando che psicologia e astronautica possano riunire piuttosto che dividere. Nel 1981 fu effettuata la prima missione nello spazio dello Shuttle Columbia, e nel 1986 toccò alla stazione spaziale russa MIR. Nel 1998 si ebbe la prima vera cooperazione spaziale internazionale, la ISS, International Space Station (giapponesi, europei, canadesi ed americani). Il 2004 è un’altra data fondamentale perché abbiamo l’ingresso dei privati nell’esplorazione spaziale, in orbita bassa, con Space Ship One, e nel 2008 in volo orbitale con SpaceX Falcon I, mentre nel 2012 attracca alla ISS la prima navicella privata SpaceX Dragon, fino al 2020, anno del primo volo con equipaggio creato da un ente privato, SpaceX Crew Dragon”.

Le istituzioni, in questo caso la NASA, sono sempre presenti coordinando le attività dei privati. La motivazione è giuridica: i privati possono compiere questo tipo di attività, lanciare razzi o satelliti, però se avviene un incidente in volo di aviazione responsabile è la compagnia aerea con le sue assicurazioni, per quanto riguarda il trattato sulla liability internazionale nello spazio, invece, responsabile diretto è il Paese di lancio e non la società privata che lo ha effettuato. Questo il motivo per cui gli Stati Uniti in questo caso sono coinvolti con la Nasa in prima persona.

Quando si parla di aeronautica, e quando di astronautica? 

“Quando parliamo di psicologia dobbiamo capire subito qual è l’ambito di appartenenza e l’ambiente in cui ci si trova ad operare. La differenza tra astronautica e aeronautica è fissata nel bounder della Kármán Line, una linea immaginaria posta ad un’altezza di 100 chilometri (330.000 ft) sopra il livello del mare che segna convenzionalmente il confine tra l’atmosfera terrestre e lo spazio esterno, oltre la quale lo spazio è di tutti. Infatti, la rarefazione dell’aria oltre quel limite non consente all’aeroplano di sostenersi ancora con le leggi dell’aeronautica, ed interviene il fattore velocità: per questo le capsule spaziali non hanno una forma particolarmente aerodinamica, non essendo questa importante per il volo oltre certi limiti. Questa è la prima divisione tra aeronautica e astronautica”.

Il primo problema che hanno gli psicologi dello spazio è la scarsità di materiale umano. Nella storia dell’esplorazione spaziale abbiamo solo 565 astronavi dal 1957, 500 uomini e 65 donne, di cui 7 astronauti italiani (Roberto Vittori e Paolo Nespoli ne hanno fatte tre), ed è difficile lavorare con questi dati, essendo statisticamente molto bassi.

“È molto difficile riprodurre quello che succede in orbita qui sulla Terra, cosa abbastanza diversa rispetto al mondo aeronautico dove si hanno simulatori molto sofisticati. L’assenza di gravità è l’ostacolo più ingombrante. Esistono dei voli parabolici, ossia dei voli in cui gli aerei compiono parabole salendo e scendendo per circa trenta volte, ma il momento in cui si sperimenta la fluttuazione non dura oltre 30 secondi, per cui è difficile abituare l’astronauta all’assenza di gravità che sperimenterà nello spazio. Nelle piscine, invece, ci si immerge con una tuta riempita d’aria per simulare le attività extraveicolari, che consente di galleggiare sott’acqua senza salire e senza scendere. Si fanno corsi di sopravvivenza, nel caso nel rientro qualcosa andasse storto: a parte lo shuttle, si cade giù come sassi”.

Uno dei problemi nella psicologia degli astronauti prima della missione è il workload management. L’addestramento viene fatto in tre luoghi diversi: Giappone, per la presenza di simulatori di una parte della ISS, a Colonia per altre parti, negli Usa, e infine nel Paese di lancio, in un solo anno. Ciò comporta problematiche anche culturali e di background professionale, a partire dal team building. Se prima gli equipaggi erano composti da soli americani o soli russi, da un certo punto in poi si è cominciato ad avere degli equipaggi misti, necessitandosi così degli approcci diversi.

Durante la missione, gli astronauti devono scontrarsi con:

  1. stress sensoriale e motorio (zero G di gravità);
  2. mancanza di privacy;
  3. disturbi del sonno (un giorno sulla Terra equivale a 90 minuti nello spazio);
  4. rischio di conflitti interpersonali a bordo;
  5. lontananza dalla famiglia e dalle persone care; in una parola sola, dalla Terra.
Dopo la missione, i problemi riguardano:
  1. il riadattamento alla gravità;
  2. il reinserimento nella vita quotidiana;
  3. la sindrome dell’adattamento post missione (depressione, ansia, difficoltà di adattamento).

Rispetto a questi punti psicologici, Mezzadri cita il libro “Moondust – In Search of the Men Who Fell to Earth”, in cui il giornalista Andrew Smith rintraccia i nove membri sopravvissuti del gruppo d’élite che ebbe l’opportunità di essere a bordo delle missioni Apollo, per trovare le loro risposte alla domanda: “Dove vai dopo essere stato sulla Luna?”. L’intervista venne interrotta da una telefonata che annuncia la morte di uno dei dodici moonwalkers, Pete Conrad.

Romina Ciuffa




ITA LIKES LUFTHANSA (TRA “POSTORI” ED IMPOSTORI)

Roma, 3 marzo 2023. Mi lascerò trascinare dal filo del discorso in un volo sì, ma pindarico, e parlerò qui di due cose: 1) il verde-Alitalia e l’incontro paventato tra ITA e Lufthansa; 2) il fenomeno della “influencer-sizzazione” di piloti e cabina crew. 

1) Dove è ricresciuto l’estirpato verde-Alitalia? Fallita Alitalia, nasce ITA (con un nome che richiede l’accostamento ad “Airways” per non confondersi con un semplice suono, in realtà acronimo di Italia Trasporto Aereo) – ITA Airways. Neonata, si parlava già di un nuovo futuro da brand Alitalia (lungimirantemente acquistato da Ita). Il volo ITA l’italiano lo prende così, solo per fare voli diretti, l’Alitalia si prendeva per “fede”, per avere accanto quegli assistenti di volo (ex hostess e stewards), per sdraiarsi in ambiente amico, perché il verde era stare a casa, sebbene ne parlassimo malissimo: non era vero. ITA la si prende così, per disperazione, sapendo anche che solo alla fine della transazione di acquisto si aggiungono spese del bagaglio che non sono incluse, ovunque si vada: vera e propria low cost con prezzi high, le valigie da 23 kg non sono comprese nel prezzo del volo intercontinentale che dà la pretesa di partire “leggeri”.

A noi la scelta: leggeri o alleggeriti.

Pare se la comprino i tedeschi. Altro giro, altra corsa, altro volo: arriva la Deutsche Lufthansa AG, che punta ad acquisire una partecipazione nella compagnia italiana con l’acquisizione iniziale di una quota di minoranza, ed opzioni per l’acquisto delle restanti azioni poi, presentando al Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano la bozza di MoU (Memorandum of Understanding) e, quando sarà firmato il protocollo d’intesa, arricchendo la transazione con negoziati su base esclusiva prediligendo la forma di un investimento azionario, dell’integrazione commerciale e operativa di ITA nel Lufthansa Airline Group e delle conseguenti sinergie. Per Lufthansa Group, l’Italia è il mercato più importante al di fuori dei suoi mercati interni e degli USA, tanto per viaggi d’affari quanto privati,​​ merito della forte economia orientata all’esportazione e dello status belpaesino di uno dei migliori luoghi di vacanza d’Europa.

Sottoscriverei: vacanza. Viverci? Meglio fare vari scali.

Ma se noi pensiamo a casa, non pensiamo a ITA. Non c’è nulla che ricordi Alitalia se non la lingua ufficiale, corretto nell’ottica di un cambio di “rotta”, non nel senso di  un’appartenenza reciproca (Alitalia è nostra, noi siamo Alitalia). Proprio come nelle pubblicità di oggi non c’è nulla che ricordi il Carosello: il Carosello si seguiva, si correva alla tv (chi l’avesse) alle otto di sera, e BOOM, pubblicità. Oggi durante i “consigli per gli acquisti” ci si assenta, si fa un veloce (nemmeno troppo, data la durata degli annunci) zapping, si fa la pipì e si scola la pasta: e meno male che c’è la pubblicità, per le vesciche di tutti. Come non bastasse gli annunci non si guardano più per comprare:  cosa pubblicizzava? Chi se lo ricorda. Morta di recente pure la camicia coi baffi.

Così ITA. Ci si sale perché è l’unica che, se tutto va bene (non sono poi così tanti i collegamenti), non fa scalo, spendendo obtorto collo di più di British o Wizz e altre, che garantiscono prezzi inferiori. Si sale su ITA, ci si guarda intorno (vediamo le differenze con Alitalia), ci si sente “strani”, a disagio quasi, e si chiudono gli occhi, in attesa di “il capitano vi informa che fra qualche minuto atterreremo”. In Alitalia c’era la famiglia, come dove c’era Barilla: c’era casa. Oggi invece, oltre ad essersi “volatilizzato”  tutto il cabin crew  prima impiegato in Alitalia (ci sono i sindacati e i ribelli, ci sono coloro che hanno ripreso il posto incorporati in ITA, ci sono coloro che “postano” vorticosamente, ci sono coloro che si sono dovuti rifare una vita, e quelli che hanno imparato a conoscere le mogli e spadellano come gran parte della popolazione globale post-Covid).

Niente più biglietti gratis per hostess e compagn*, per pilota e amici, niente più voli da regalare, niente più sex symbolism degli impiegati dell’aria, che ora divengono veri e propri fantasmini in cabina e che, anche per questo, si sono messi ad instagrammare a tutto spiano per dare un senso e sfondare, chissà, il muro del suono non a 343 m/s bensì in stile Ferragni.

2) C’è una compagnia aerea nel mondo che stia mettendo un freno al dilagare di un fenomeno pericoloso e non professionale quale quello del post? Fotografarsi e fare video durante l’orario di lavoro: è la resa dei conti. Selfie sexy dentro alle ventole dei motori, selfie nei bagni, selfie coi passeggeri, selfie coi bambini in cabina, selfie di qua, selfie di là, sperano di guadagnare soldi, quantomeno followers, con blog e fotarelle da nuova generazione, eppure sono disperati. Tra “postori” e “impostori”, hanno perso il senso della loro professione. Hanno perso il volo – lo hanno preso fisicamente, ma ne hanno perso il valore (valore di volare) e, volando, postano, che è come dire: stanno sempre in basso, nei pressi di un server. Prima da terra si sognava di volare, ora in volo si sogna di atterrare. Così, atterriti, volano e servono (a pagamento) polletti implasticati, senza più il benessere di sentirsi completi attraverso il lavoro, scendono gli scalini dell’aeroplano come Shakira in una sfilata di Victoria Secret, e sfilano al gate, certi di essere ammirati da tutti per la divisa. Finalmente a terra.

Sul social TikTok sono cinquantenni (+) che, dopo aver pilotato 747 per anni o portato da professionisti interessanti e invidiati i vestiti verde-Alitalia, si trovano a fare i ventenni, cercare followers, espletare balletti nei corridoi degli aereomobili, sapendo che tra i sedili non saranno presi per pazzi, esaltati, troppo vecchi, poco professionali. Piuttosto riceveranno likes. L’assistente di volo comunque, vola e, mentre spiega sul suo canaletto TikTok seguito da migliaia di spettatori, ops, visualizzatori, come si tira la catena sull’aereo o ci si rapporta con una turbolenza, guadagna lo stipendio.

Così il pilota, che non decolla senza una GoPro sul capolino. Altro che spiegare una turbolenza: chissà che l’amministratore delegato Lufthansa non faccia un TikTok per allinearsi coi tempi. Comprare ITA non basta, serve il like.

Romina Ciuffa




DEPRESSIONE, GRATIS LA PRIMA SEDUTA DALLO PSICOLOGO E IL PIL SALE

di ROMINA CIUFFARoma, 4 ottobre 2022. Curare ansia e depressione non è semplice. Inoltre, è molto costoso. Genera costi per il singolo individuo (fisici, psicologici, economici) e per l’intera società, che non è in grado di sostenere un allarme così sottile, invisibile, e nel contempo ampio e generalizzato (si aggiunga: generatore di vergogna e silenzio). Intervenire tempestivamente sarebbe la regola n. 1, ma “tempismo” non fa rima con “comprensione dei sintomi, accettazione, reazione”. Anche solo l’individuazione e la diagnosi di quella che è una delle malattie più nude e crude dell’intero panorama psicologico, quando non somatico, è qualcosa di estremamente difficoltoso e costoso. Idem per la prevenzione, praticamente impossibile: la depressione è un male democratico, che colpisce tutti, oltre ogni classe sociale, ceto, ricchezza, benessere, oggettività. Non vale il motto, sempre ben espresso da madri, amici, spesso anche professionisti: “Ma se hai tutto!”. Anzi: quest’ultimo non fa che esacerbare la dinamica e la profondità dell’oscuro male, che scava, scava, fino a lacerare i tessuti fisici del soggetto, distruggendolo come un cancro incurabile, che non ha nemmeno la chemioterapia per sperare.

Certo, subentrano qui i terapeuti, più precisamente, gli psicoterapeuti. Ma con bassa riuscita (solitamente chi è in cura da uno psicologo per depressione, vi rimane per il corso della sua intera esistenza o fino a quando non si dichiara il fallimento della terapia, o del portafogli di contenimento). C’è anche chi canta vittoria, “sono guarito”, e poi vi ricasca. Sono spesso affiancate alla psicoterapia delle cure a base di farmaci: chi propende per SSRI, inibitori dei ricattatori di serotonina, chi va dritto all’antiepilettico (il Tolep, ad esempio), chi prescrive l’Haldol, chi fa un mix tra benzodiazepina e antidepressivo – ciò dipende esclusivamente dal medico curante (psichiatra), e in questo caso il paziente (che presso di lui si è recato sotto consiglio dello psicoterapeuta, una extrema ratio da impiegare mentre si prosegue nella terapia dialogica, per calmare la fame di angoscia, dolce compagna) è sottoposto a farmaci che, con buone probabilità (“effetti collaterali”) bloccheranno la libido, daranno modo di ingrassare, impediranno il vero e proprio riposo, recheranno agitazione e mancanza di sazietà biliare e mentale. In questo momento il paziente depresso ha già, più o meno, speso migliaia di euro tra psicoterapia e visite di controllo e cambiamento/aggiustamento farmaci. Ciononostante, si sente molto depresso, l’effetto che lo Zoloft o la Paroxetina nelle prime settimane sembrava suscitare diviene un ricordo, al punto tale da dover aumentare la dose, quindi aumentarla ancora fino a dover iniziare a scalarla, quindi scalarla, quindi azzerarla. E cambiare farmaco. Lo psicoterapeuta se ne sta lì, un’ora a settimana (o due), in presenza od online ormai (niente di peggio per un paziente depresso, niente di meglio per un terapeuta comodo), ad applicare protocolli o ad ascoltare cosa c’è che non va, con la formula di rito: “Come va questa settimana?”, e play.

C’è un progetto degno di nota che si è rivelato alla stampa e sul panorama italiano proprio ad ottobre 2022: con la premessa che “la pandemia e le molte incertezze di questo momento storico hanno contribuito a far aumentare i casi di ansia e depressione”, l’ENPAP, Ente di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi, ha finanziato il progetto “Vivere Meglio”, realizzato in collaborazione con SCUP (il Centro di Ateneo per i Servizi Clinici Universitari Psicologici) dell’Università di Padova, e con l’AIP (Associazione Italiana di Psicologia), mettendo a disposizione per sei mesi un numero di mille psicologi, selezionati e formati appositamente negli ultimi mesi con un bando regolare,  per permettere ad almeno “10 mila cittadini di accedere a trattamenti gratuiti attraverso il sito viveremeglio.enpap.it, attivo dal 1° di ottobre”. Basterà accedere al sito viveremeglio.enpap.it per effettuare, senza alcun costo, un test scientificamente validato e finalizzato a valutare se sono presenti le condizioni per intraprendere un percorso, anch’esso gratuito, che andrà da 10 a un massimo di 14 incontri con psicologi e/o psicoterapeuti selezionati da ENPAP e formati all’utilizzo di protocolli, aggiornati ed efficienti, con un solido impianto scientifico. Sul sito di Vivere Meglio si troverà anche una serie di opuscoli informativi di auto-aiuto, creati ad hoc sulla base delle più recenti conoscenze scientifiche, che forniranno consigli e indicazioni efficaci per gestire i segnali iniziali di disagio psicologico.

Secondo Felice Damiano Torricelli, presidente dell’ENPAP:

«Accanto a chi soffre di ansia e depressione ci sono i familiari, i caregiver e intere comunità che colgono e gestiscono il carico di questi problemi. Ansia e depressione, spesso, sono causa di assenteismo e di cali drastici nel rendimento, lavorativo e scolastico, e hanno pesanti ripercussioni sulla qualità della vita personale, relazionale e lavorativa. Ma, ancora oggi, nonostante i dati confermino tutte le ricadute negative di ansia e depressione, questi disturbi non ricevono risposte adeguate“. 

Lo stigma che ancora aleggia sul ricorso agli interventi professionali degli psicologi costituisce un freno a prendersi cura del proprio benessere emotivo e mentale, mentre il sistema pubblico investe in maniera drammaticamente insufficiente. Prosegue Torricelli:

In linea di massima, chi accede con più difficoltà alle terapie psicologiche sono proprio le persone meno abbienti, già in condizioni di difficoltà sociale ed economica, che vengono esasperate proprio da questi disturbi, e che ne riducono ulteriormente le possibilità di ripresa. Vivere Meglio vuole dare una mano a fronteggiare le difficoltà di questo momento storico, che sta provando tutti da troppo tempo e ha comportato un ulteriore aumento del disagio psicologico e dei disturbi collegati allo stress continuativo».

  Felice Damiano Torricelli, presidente ENPAP

Riporta l’ISTAT: i sintomi depressivi aumentano con l’avanzare dell’età (sfiorano l’8% fra i 50-69enni), fra le donne (poco meno dell’8 per cento), fra le classi socialmente più svantaggiate per difficoltà economiche (14 per cento fra chi riferisce molte difficoltà economiche) o per istruzione, fra chi non possiede un lavoro regolare (8 per cento), fra chi riferisce almeno una diagnosi di patologia cronica (13 per cento) e fra chi vive da solo (8 per cento). Tra i senior, una quota consistente di ultra64enni, pari al 21 per cento, riferisce sintomi depressivi.

“Vivere Meglio” utilizza un modello di intervento stepped care, per cui gli interventi vengono dosati in relazione al bisogno di ogni persona, in maniera molto mirata e graduale. Si ispira all’esperienza inglese di Improving Access to Psychological Therapies (IAPT), progetto che il sistema Sanitario UK realizza da più di 10 anni per erogare interventi psicologici brevi e mirati a chi ha disturbi emotivi comuni, nato in effetti più sotto una spinta economica che non solidale: diversi studi hanno rilevato i costi economici che ansia e depressione comportano, abbattibili con interventi di terapia psicologica ben strutturati. Lo IAPT permette a tutti i cittadini britannici di accedere gratuitamente ai trattamenti psicologici, anche a coloro che hanno meno risorse economiche, annullando i problemi di equità nell’accesso alle terapie psicologiche, offrendo sostegno, counseling e psicoterapia a oltre un milione di persone l’anno, consentendo di effettuare prevenzione, evitare i costi legati alle assenze dal lavoro e la correlata perdita di competitività del Paese, abbattere molti altri costi sanitari, ridurre la disabilità con un impatto sensibile sui costi per pensioni e sussidi pubblici.

Di certo, attraverso questo nuovo impegno, l’ENPAP dimostra di aprirsi al mondo e di farlo con uno sguardo lungimirante, di tipo preventivo. L’attivazione del voucher gratuito, però, non comprende l’intero intervento (che viene effettuato secondo un protocollo di dieci sedute al massimo, con una sorta di “garanzia” sul risultato, quella data dalla metodologia). Questo va comunque a vantaggio dello psicoterapeuta che, attraverso il nuovo sito ENPAP, può raggiungere più pazienti, sebbene abbia un rigoroso limite da rispettare nel numero delle sedute e nella deontologia. Il voucher può essere attivato altre volte, ove l’utente ne faccia richiesta in quanto non si trovi a proprio agio con lo psicoterapeuta che gli viene assegnato; questo passaggio, infatti, è effettuato quasi in via automatica dalla piattaforma che – sulla base degli orari, delle disponibilità, della localizzazione, delle competenze del professionista – procede al “match”, un po’ come su Tinder. Una regola ben precisa: il colloquio (e l’intera terapia) sarà effettuato de visu, escludendosi a priori il ricorso all’online. Da tutto ciò, emerge che ne guadagneranno tutti:

  • potenziali pazienti che potranno – oltre a condurre piccoli autoquestionari e seguire i consigli del bot – conoscere un dottore disposto a seguirli che non faccia pagare la prima visita, eliminando così il primo grande ostacolo alla (ennesima) consultazione di un professionista: il costo, e promettendo la risoluzione in poche sedute (il limite massimo consentito dal metodo adottato dall’Enpap). E si sa anche che, dov’è gratis, l’italiano va (dura lex);
  • il Paese: ove l’Italia fosse pronta almeno quanto il Regno Unito, e sia in grado di riconoscere la sintomatologia dello specchio di dolore invisibile che nutre ansia, depressione e correlati, ma soprattutto, accettarla, potrebbe generarsi un impatto sul PIL. Il progetto complessivo fornirà una mole importante di dati e sarà oggetto di uno dei più ampi studi realizzati in Italia sul trattamento di ansia e depressione; la successiva valutazione di impatto consentirà di verificare e comunicare i benefici in termini di risparmio di costi e risorse. Inoltre, sebbene la parte operativa del progetto duri sei mesi (da ottobre 2022 a marzo 2023) con un carico valutato in circa 10 mila cittadini, il portale e i materiali realizzati (come la procedura informatica di screening psicologico e gli opuscoli di auto-aiuto,) resteranno a disposizione;
  • gli psicologi, anzi, quei mille psicologi selezionati – che hanno ottenuto un corso di formazione gratuito, conosciuto una metodologia breve-strategica, aggiornato il database pazienti, sperimentato il nuovo, rinunciato al comodo online (e si sa anche che, dov’è gratis, l’italiano va: repetita juvant).

È impossibile, al momento, avere un binocolo per catturare un futuro in cui la depressione sarà risolta in poche sedute; ma non pagare la prima già consente di sperare nella seconda. Banale, ma schietto. (Romina Ciuffa)

 




PSICOLOGI DELL’AVIAZIONE: IL VOLERE CAPACE DI INTENDERE E DI VOLARE

di ROMINA CIUFFARoma, 24 giugno 2022. Facile dire “volare”, prova a “volare”. Un elemento, l’aria, che non ci appartiene se non perché abbiamo voluto appartenervi – dall’iconografica di dei con le ali ad Icaro, dagli aquiloni di stampo militare a Leonardo da Vinci, dai fratelli Montgolfier ai fratelli Wright fino a Fiorenza De Bernardi, Chesley Sullenberg, Samantha Cristoforetti. Facile cantare “Volare”, prova a pilotare un Boeing 747 o un Robinson 44. Prova ad avere la responsabilità di un volo e dei suoi passeggeri, lo stress psicofisico che da terra sale a bordo, anche le sfide della maniacalità egotica dell’essere un vero e proprio deus ex machina, è il caso di dire: un Dio in terra che governa una macchina. Volante.

La psicologia in aviazione è sempre stata presente, sin dai tempi iconografici, quando ancora l’aviazione non esisteva. Come dire: è nata prima la psicologia dell’aviazione dell’aviazione stessa. Ne è l’emblema n. 1 Icaro, identificazione di ambizioni smisurate incontrollabili e a qualunque costo, una nevrosi, dalla megalomania alla caduta nel vuoto. Ciò che è mancata è stata la dedica, da parte della psicologia stessa, di una branca interamente concentrata sull’aviazione stessa, che predisponesse – dopo un attento studio in specificità – gli strumenti per affrontare le continue, diverse, estenuanti, spesso troppo sotto pelle per non essere pericolose, sfide in cui il pilota e le altre figure correlate al volo si cimentano. E non solo in fase di crociera; non solo in fase di decollo e di atterraggio; sempre, nella “testa per aria”. Difatti: “Those who work in flight environment work in a hostile environment”, verbalizzava ad Amsterdam il dottor Frank S. Preston, direttore dei servizi medici di British Airways, durante il simposio “Safety and Efficiency in Airline Operations in the next 50 years” nel 1979, e più specificamente descriveva già alcune influenti caratteristiche psicofisiche e conseguenze del lavoro in aviazione nel suo articolo “Work in the Aviation Environment” del 1974.

Prima del 2018, nulla. Quindi, l’incipit: il Regolamento 2018/1042 della Commissione (EU) il 23 luglio 2018 (in Gazzetta il 27) che finalmente stabilisce “i requisiti tecnici e le procedure amministrative concernenti l’introduzione di programmi di sostegno e della valutazione psicologica dell’equipaggio di condotta e di cabina degli aerei”, e contiene la sintesi delle raccomandazioni elaborate dalla task force istituita dall’Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA) a seguito dell’incidente Germanwings del 2015.

GERMANWINGS 2015. L’Airbus A320-200, in servizio fra Barcellona (Spagna) e Düsseldorf (Germania) il 24 marzo 2015, precipitò al suolo con 150 persone a bordo per un’azione deliberata del primo ufficiale durante la fase di crociera sulle Alpi di Provenza francesi. Da quanto restava della scatola nera, emerse che il primo ufficiale Andreas Lubitz, approfittando dell’uscita del comandante Patrick Sondenheimer dalla cabina di pilotaggio, si barricò al suo interno e pilotò il velivolo diretto contro il suolo. Nella traccia audio furono registrati, dalle ore 9:34 UTC, i tentativi del comandante di rientrare in cabina, e alle 9:40 gli ultimi violenti colpi contro la porta della cabina. Il suicida tedesco si era ritirato per 11 mesi dall’attività per una grave depressione, fu poi giudicato idoneo a riprendere il comando; durante le indagini, in un bidone dei rifiuti fu rinvenuto un certificato medico che attestava che, il giorno dell’incidente, Lubitz sarebbe stato inabile al lavoro. La Germanwings non aveva avuto accesso a questa informazione, né avrebbe potuto considerate le norme tedesche a tutela della privacy.

 

Nella fase di recepimento delle norme europee interveniva anche il Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi (CNOP) con il Documento redatto dal Tavolo Tecnico del CNOP sulla Psicologia dell’Aviazione, approvato con deliberazione del CNOP n. 46 del 23 novembre 2018:

“È augurabile che sul tema in questione, e cioè sulla psicologia dell’aviazione, viste le esigenze e le richieste delle compagnie aeree, si possa quanto prima prevedere ed organizzare una formazione di terzo livello (corso di alta formazione, master, e – perché no – specializzazione post lauream), affinché i giovani professionisti possano orientare in maniera produttiva il proprio percorso professionale”. 

Da allora, sono sviluppati corsi e formazione per psicologi dell’aviazione, ma il percorso non è così scontato. In Italia, si distacca una realtà in particolare, invitata anche al Fly Future 2022 come organizzazione significativa per il futuro (e presente) dell’aviazione: IT-APA, l’Associazione di Psicologia dell’Aviazione in Italia, punto di riferimento per il settore che, nonostante le premesse semplici, è in realtà molto complesso.

Alessandra Rea, psicologa dell’aviazione e presidente di IT-APA, spiega (a margine di FLY Future 2022):

Ancora oggi, quando si pensa allo psicologo dell’aviazione si pensa al concetto classico, ma è più probabile trovarlo in cabina di pilotaggio che non dietro un lettino a prendere appunti”. Infatti, “si tratta di un professionista che è già operativo nell’aviazione, anche un comandante, e che opera applicando al mondo aeronautico le conoscenze e le metodologie proprie delle scienze psicologiche, con lo scopo di supportare i professionisti dell’aviazione a conseguire e mantenere performance che garantiscano elevati standard di sicurezza”.

Può pilotare l’aereo o curare l’attenzione ai passeggeri, può trovarsi in Torre di controllo o dirigere il traffico Ground; e, in più, è uno psicologo. Non è “solo uno psicologo”. Proprio questa la differenza fondamentale rispetto agli altri psicologi, come ad esempio le figure scolastiche: lo psicologo a scuola non è (necessariamente, probabilmente) un insegnante o un bidello; lo psicologo dell’aviazione invece, si trova front line, è parte integrante del sistema, lavora in un contesto di gestione del rischio e ha, come obiettivo, quello di garantire e migliorare i livelli di prestazione in un mondo che è in continuo cambiamento, produttivo di un tipo di fatica e stress le cui conseguenze possono essere molto più dannose che in altri settori.

Lo Human Factor è al centro di tutto.

Lo psicologo, in aviazione, può incontrarsi nei momenti della selezione, dell’addestramento, della valutazione (cui annualmente e sempre si è sottoposti nel mestiere aeronautico) e sì, anche del supporto sic et simpliciter, ossia sul noto “lettino”, se necessario. Lo incontrano, tra gli altri, i piloti, gli assistenti di volo, i controllori CTA, i manutentori, il personale Atsep (Air Traffic Safety Engineering Personnel*), non solo in entrata ma anche nel corso della carriera, nello spostamento di mansioni, nell’evoluzione. *ATSEP è il termine riconosciuto dall’ICAO (International Civil Aviation Organization) per indicare il personale tecnico coinvolto nelle operazioni di funzionamento, manutenzione ed installazione dei sistemi di comunicazione, navigazione, sorveglianza e gestione del traffico aereo (CNS / ATM).

Il Regolamento europeo al punto 2 chiarisce:

“L’Agenzia europea per la sicurezza aerea ha individuato un certo numero di rischi per la sicurezza e ha formulato una serie di raccomandazioni per attenuare tali rischi”. L’attuazione di alcune di esse esige “modifiche normative per quanto riguarda la valutazione psicologica dell’equipaggio di condotta prima di intraprendere voli di linea, la realizzazione di un programma di sostegno per gli equipaggi di condotta, l’esecuzione da parte degli Stati membri di test alcolemici casuali sui membri degli equipaggi di condotta e di cabina e l’esecuzione da parte degli operatori aerei commerciali di test sistematici per il rilevamento di sostanze psicoattive nei membri degli equipaggi di condotta e di cabina”.

In aviazione stress, sostanze, stati umorali, sono “cose diverse”: il termine fatigue in questo settore è usato per descrivere una stanchezza fisica e/o mentale che va ben oltre la normale definizione di spossatezza.

“Essa riguarda l’incapacità di esercitare i propri compiti nella cabina di pilotaggio rispettando le norme di sicurezza delle operazioni volo. In questo campo è auspicabile l’approfondimento delle componenti fisiche, psichiche ed ergonomiche in particolare per le strette relazioni presenti tra sistemi percettivo, cognitivo e sensoriale nell’interazione uomo macchina”Si tratta di alta quota, bassa umidità relativa, rumore e vibrazioni, radiazioni ionizzanti, aria in-door con la presenza di contaminanti fisici, chimici e biologici propri dell’attività di volo commerciale di linea, il cui insieme è certamente in grado di provocare una condizione di stress – la quale, protratta, esaurirà le capacità di adattamento e attiverà la comparsa di quadri patologici. Tale usura, maggiore e diversificata rispetto alle consimili attività professionali, “ci porta ad esemplificare che la fatica statisticamente è fattore del 75 per cento dei casi di depressione e contribuisce, sempre statisticamente, al 15-20 per cento degli incidenti fatali causati dall’errore umano di cui abbiamo i report”

Il Peer-Support è lo strumento principale individuato per favorire il coinvolgimento della categoria professionale sui temi del disagio psicologico, per diminuire paura, giudizio e stigma, per segnalare precocemente i comportamenti disfunzionali mettendo in atto percorsi di sostegno psicologico (qui il documento EPPSI Guide on Peer Support 2nd Edition October 2020). Si tratta del supporto dei “pari”: nel contesto di un programma di supporto “un pari” è un collega che condivide qualifiche ed esperienze professionali comuni ed ha riscontrato situazioni, problemi o condizioni simili con il personale che richiede assistenza. Il pari per ricoprire tale ruolo riceve idonea formazione.

Nelle situazioni di crisi, in cui il picco di stress è alto, i programmi di supporto offrono immediati protocolli che consentono di mettere in atto e sviluppare resilienza e di recuperare in un breve lasso di tempo capacità di funzionamento e di superamento dello stato di crisi, senza avere impatti sulla propria salute psico fisico sociale. Quando ciò non basta a garantire il recupero rapido della persona, si procede con il continuum di cura, esterno al programma ITAPA, per il tempo necessario, che si può configurare sotto forma di percorsi di trattamento psicoterapeutici o di coinvolgimento di specifici team medici specializzati.

Rea descrive l’Associazione che presiede:

“L’IT-APA e si inserisce nel network dell’EAAP (European Association for Aviation Psychology) che compone il ‘work package’ relativo al modello di competenze richieste dall’aviazione. Essa sostiene il benessere e la salute mentale dei professionisti nel mondo dell’aviazione, contribuisce al mantenimento di elevati standard di sicurezza supportando gli stessi professionisti e le organizzazioni a gestire meglio la loro performance, promuove e tutela la figura di psicologo dell’aviazione; inoltre compie attività di ricerca in vari ambiti, ad esempio in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma; supporta protocolli di ‘assessment’ per la valutazione, organizza corsi di formazione per i colleghi in aviazione e attiva programmi di supporto, in particolare due: uno dedicato alle organizzazioni e ai soci sostenitori, quali compagnie aeree di area fissa e rotante, una dedicata a chi è uscito dal mondo dell’aviazione a causa della pandemia”.

Quali i programmi dell’IT-APA? Micaela Scialanga psicologa dell’aviazione, comandante di linea, segretario generale dell’IT-APA, e coautrice del libro: “Dopo Germanwings, la vita del pilota di linea”, specifica:

“Il Regolamento per la prima volta obbliga le compagnie ad avere un programma implementato, gestito e coordinato da uno psicologo esperto in aviazione. Sono due i programmi. Il primo è il Support Program, di cui committenti sono le compagnie aeree e all’interno del quale tre psicologi dell’aviazione supportano il peer creato ne loro interno, e una squadra di piloti ‘peer’ iscritti ad IT-APA e da essa formati con un addestramento ricorrente ed incontri di confronto. Il senso del peer è fornire un confronto al professionista”Prosegue: “Il secondo programma è l’Here I Am, messo a disposizione gratuitamente per rispondere ai singoli che chiedono un contatto; fornisce tre colloqui gratuiti con uno psicoterapeuta esperto, che lavora su base volontaria; svolge un’attività per coloro che, per interruzione momentaneamente a o fine carriera, non hanno lavoro e si trovano in un momento di difficoltà. Il servizio è attivo dallo scorso dicembre, e dal primo giugno è esteso anche agli ex operatori di scalo”.

Che contributo può dare ITAPA allo sviluppo della carriera in aviazione?

“Aiutiamo a gestire lo stress e la fatica, a migliorare le abilità cognitive a partire dalla stessa preparazione degli esami, ad acquisire competenze utili a collaborare in modo efficace in team, forniamo un aiuto per l’orientamento nelle scelte e, in generale, un supporto nei momenti di difficoltà”, conclude il Comandante Scialanga.

Dove un controllore del traffico aereo incontra uno psicologo dell’aviazione? La risposta è del presidente Rea:

“Innanzitutto nella selezione. Quindi, entrerà e farà attività di formazione, con un modulo di Human Factor nel quale, a ancora, uno psicologo spiegherà. Successivamente, nel simulatore si avranno le prime difficoltà da stress per un carico di lavoro che comincia ad essere alto, con un impatto negativo sulla paura di essere valutati. Il supporto qui è fuori e dentro al simulatore. Concluso quell’iter, in torre o in un centro radar, si troverà sempre uno psicologo dell’aviazione a sostegno”. 

In IT-APA si sono domandati se l’applicazione della nuova regolamentazione europea possa incoraggiare i lavoratori dell’aviazione a ricercare aiuto dai peers e dagli psicologi. E hanno girato la domanda con un questionario a scelta multipla, nella ricerca Giving-Voice-to-Crew-Members-to-Enable-an-Effective-Support-Programme-Preliminary-Results-of-IT-APA-Support-Survey-2020. “Conclusion – The work underlines that the application of the EU Regulation may not be enough to encourage flight crews to request for help”. 

Ossia, potrebbe non essere sufficiente. I risultati confermano una riluttanza dei membri dell’equipaggio a chiedere aiuto. L’efficacia di un programma di sostegno è quindi strettamente connessa a precedenti interventi, il ​​cui scopo deve essere quello di promuovere una crescente domanda del servizio da parte dei futuri utenti. Per creare un circolo virtuoso, gli operatori dovrebbero sviluppare una campagna incentrata non solo sull’informazione sul programma di supporto (già obbligatorio), ma anche sullo sviluppo dell’autocoscienza degli equipaggi sul rapporto tra benessere psicologico e qualità delle prestazioni professionali e della vita personale. Inoltre, un’efficace attuazione del programma da parte degli operatori aerei dovrebbe andare al di là della conformità normativa minima: gli equipaggi di volo devono essere informati dei vantaggi derivanti dal programma di sostegno e coinvolti nella sua attuazione. Questo è l’unico modo per fornire loro un reale supporto in termini di benessere psicologico e per garantire la sicurezza e la qualità delle operazioni di volo.

“Volere volare” sì, ma che il volere sia capace di intendere e di volare.

Romina Ciuffa




SPAZIO: SULLA LUNA E SU MARTE, SI SPOSA E SI PARTE

di ROMINA CIUFFA. Reportage Spazio dal Fly Future 2022, l’evento ideato da Luciano Castro. 

È lui, l’astronauta della porta accanto. Franco Malerba, il primo italiano a varcare i confini della stratosfera e arrivare di là, consapevole di avere (il 2 per cento di) probabilità di arrivare nell’aldilà. Da Busalla (Genova) fino a 508 chilometri in su, sullo Space Shuttle Atlantis della NASA, per portare un satellite Tethered (letteralmente “legato”) nello Spazio e testarne le potenzialità indicate da Mario Grossi, che ne concepì il progetto già nel 1972 al fine di risolvere il problema delle comunicazioni adottando una lunga antenna di 100 chilometri, la quale si sarebbe potuta srotolare da un satellite posto in orbita geostazionari; e da Giuseppe “Bepi” Colombo, il “meccanico del cielo”, che ipotizzò sistemi a filo legati ad uno shuttle che potessero generare energia elettrica o sfruttare l’effetto fionda per immettere in orbita altri satelliti, e alla cui scomparsa – unita al fragore della prima tragedia dello Shuttle Challenger – si deve il procastinamento della missione, concretizzatasi solo nel 1992.

Per questo si può certamente affermare che la vita di Malerba fosse legata ad un filo. Esattamente tra il 31 luglio e l’8 agosto del 1992, a bordo della missione spaziale del Programma Space Shuttle (150imo volo umano nello Spazio) avente l’obiettivo primario del dispiegamento di EURECA (European Retrievable Carrier) dell’Agenzia Spaziale Europea e l’esperimento NASA/ASI Tethered Satellite System (TSS). Finalmente un astronauta italiano, ma anche una missione “in italiano”: infatti, “Agenzia Spaziale Italiana” era scritto tutto per intero per sottolineare la presenza dell’ASI, mentre oggi non è più necessario ricorrere all’iscrizione per esteso dell’intero nominativo, essendo sufficiente indicare “ASI”. Ovvero sia: l’ASI non ha più bisogno di introduzioni, ed è conosciuta a livello internazionale. Tanto che lo scorso 7 gennaio Samantha Cristoforetti ha ricevuto dalle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella il tricolore italiano da portare sulla Stazione Spaziale Internazionale, verso la quale è partita il 27 aprile 2022 alle ore 09:52, decollando dal John F. Kennedy Space Center con la missione SpaceX Crew-4.

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Ma le cose cambiano, e le referenze nello Spazio ora sono anche private, società appaltanti e grandi finanziatori lavorano per rendere lo Spazio un luogo “conosciuto”. Di questo è consapevole anche Paolo D’Angelo, fellow della branca italiana della British Interplanetary Society, giornalista ed esperto di missioni spaziali, che parla di vero e proprio turismo spaziale destinato ad ampliarsi enormemente, ma già attivo e concreto. Tanto che Astro-Samantha è stata selezionata per partire con la compagnia privata SpaceX (Space Exploration Technologies Corporation) fondata già nel 2002 dal multimiliardario Elon Musk allo scopo direndere lo Spazio accessibile e sostenibile grazie all’abbattimento radicale dei costi. Un abbattimento che, di certo, non sarà sufficiente a mandare “di là” semplici “ricchi”, o a fondare una “Hertz” delle astronavi; ma che di certo apre l’era dello sfruttamento commerciale dello Spazio e di una space economy volta a rendere l’umanità una specie multiplanetaria, capace di vivere anche lontano dalla Terra, includendo un nuovo movimento basato sull’innovazione, sulla Terra e sugli altri pianeti – a partire da Marte.

Malerba descrive il suo volo nello Spazio:

“Nel 1992 ero a bordo per portare nello Spazio un satellite molto particolare tenuto attaccato con un filo allo shuttle. Decollo: a bordo si sobbalza. I razzi laterali sono molto vigorosi e l’atmosfera resiste alla nostra avanzata. Rapidamente arriviamo in orbita ed il mondo cambia, siamo in assenza di peso e la Terra ci appare da lassù. Tutto diventa più complicato nella predisposizione degli esperimenti. La Terra ora è visibile attraverso uno degli oblò. Vengono in mente le fatiche prima di arrivare fin qui, le prove delle emergenze probabili o improbabili che possono capitare: ancora non è scomparso il ricordo dell’incidente nello Spazio (NDR: il disastro dello Space Shuttle Challenger avvenne la mattina del 28 gennaio 1986; venne distrutto dopo 73 secondi di volo causando la morte di tutte le 7 persone a bordo, ossia 6 astronauti e un’insegnante. La causa dell’incidente fu un guasto a una guarnizione). Giorni dopo, lo Shuttle rientra e si ricorda di essere un aereo oltre che un essere spaziale, volando come un aliante sul tappeto rosso degli eroi”.

“Eravamo i portatori di un messaggio di competenza e professionalità e per l’ASI, nata da poco nel 1988, era il debutto, con un astronauta dal passaporto italiano a bordo. Io ho volato con l’insegna dell’ASI, la Cristoforetti oggi lo fa con la maglietta dell’ESA”. 

Un progetto di grande portata, quello che vide Malerba andare in orbita come Prime Payload Specialist per la missione TSS-1:

“Dovevamo lanciare il Tethered e tenerlo attaccato al satellite con un cavo che assicurasse connessione elettrica e meccanica, potendo con esso interferire con il campo terrestre e, generare una differenza tra i due corpi, compiere gli esperimenti ipotizzati da Grossi e Colombo”. 

Ma andare nello Spazio per lui era già in programma nel 1978, quando lesse – su un ritaglio del Financial Times che un collega gli portò dalla Gran Bretagna – che l’Europa occidentale era stata chiamata a selezionare scienziati e ingegneri per partecipare al primo volo dello SpaceLab.

“Entrai nella rosa dei finalisti, ma il 9 maggio del 1978 avvenne l’omicidio Moro, cui seguì un grande caos politico”. Nonostante l’Italia fosse, dopo la Germania, secondo finanziatore del progetto, e per il principio del giusto ritorno dei Paesi finanziatori era a tutti gli effetti titolare di un posto in orbita, “ricevetti una telefonata in cui mi veniva comunicato che l’Italia non avrebbe fatto parte della missione”. Partì un astronauta tedesco. “Allora avevo 32 anni, l’età ideale: prima è difficile diventare astronauta per mancanza di competenze, dopo, invece, si ha davanti un orizzonte che non giustifica più il costo dell’addestramento”. 

“Io rimasi comunque fedele all’impegno, e l’Italia investì di più nello Spazio. Furono anni magici per lo Spazio italiano, con progetti ben finanziati che costituirono la base di ciò che è oggi”Cercasi astronauta per il programma Tethered dell’Asi: “L’ultima mia chance. Ottenni il mio biglietto d’imbarco”. 

Così partì nel 1992, per otto giorni nello Spazio con Claude Nicollier dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea), Loren Shriver, Andrew Allen, Jeff Hoffman, Franklin Chang-Diaz e Marsha Ivins, della NASA. Lo Shuttle Atlantis era progettato e realizzato da Alenia Spazio di Torino, i bracci telescopici prodotti da Piaggio Aerospace e gli strumenti dai laboratori degli scienziati italiani e americani, con finanziamenti rispettivamente di ASI e NASA.

Talmente tethered furono gli astronauti imbarcati, che circolarono foto e vignette in cui si ritraevano attorcigliati ad un filo. Ride bene chi ride per ultimo: il cavo che teneva il satellite vincolato allo Shuttle si srotolò solo per 260 metri dei 20,7 km previsti, a causa di un problema tecnico causato da un bullone troppo sporgente, ma la lunghezza ottenuta servì a studiare come rilasciare, controllare e recuperare il satellite, e il sistema si rivelò più facile da controllare e più stabile di quanto previsto. Missione riuscita.


“La ISS è la base attuale per lavorare nello Spazio, microgravità ed orbita bassa (400 chilometri), in assenza di peso. La giornata dura 90 minuti, siamo fuori dai ritmi terrestri ma siamo molto vicini ancora alla Terra. Si mangiano ancora cose come la piadina di Samantha, che lei spiega in un recente TikTok (NDR)   che arrivano da una logistica terrestre. Una flotta di bettoline spaziali riforniscono la ISS regolarmente, qualche settimana prima che arrivi il nuovo equipaggio arriva quanto necessario per il loro mantenimento”.


Sulla Luna e su Marte, si sposa e si parte – e si dà principio all’arte – è il caso di dire ormai.

“Gli insediamenti lunari saranno più complessi nel rifornimento: se vorremo realizzare habitat permanenti (ossia relativamente lunghi), sarà necessario inventare l’agricoltura lunare in LowG, bassa gravità. Così nell’esplorazione lontana per Marte, dove saremo esposti all’assenza di peso e a radiazioni per lungo tempo e dovremo essere autonomi nel cosmo”.

Per questo Malerba ha una soluzione, che integra nel suo SpaceV (Space Vegetables o Space Veg), startup italiana fondata nel 2021 con sedi a Genova e Nuoro, che ha un posto nell’ecosistema spaziale attraverso l’impegno nello sviluppo della sua tecnologia Multilevel Adaptive Greenhouse (nella foto sotto). In un motto: come coltivare al meglio le piante negli avamposti extraterrestri. Si tratta di intervenire sui sistemi biorigenerativi e ricreare l’equilibrio terrestre nello Spazio.

“Sulla Terra c’è equilibrio tra il regno vegetale e il regno animale: il primo produce e consuma C02, mentre i nostri rifiuti prima o poi riciclati possono servire come alimentazione per il mondo vegetale. Similmente dovremmo provvedere in un mondo in cui non avremo a disposizione una Terra «tutta pronta». Sulla ISS si sperimentano alcune coltivazioni: nella serra Veggy ad esempio,  le piante crescono anche in MicroG. Avere una buona alimentazione è fondamentale per gli astronauti, già stressati per le differenti condizioni”.

Nel tema dei sistemi rigenerativi Stefania De Pascale, professoressa di orticoltura e floricoltura della Federico II di Napoli, parla di colonie spaziali.

“L’astronauta del futuro sarà un agricoltore o un agronomo, nonché un geografo, dovrà sapere di tutto. Dovremo riciclare rifiuti nell’ambito di un’alimentazione vegetale per poter sopravvivere a Marte”, spiega Malerba, e dà il suo contributo: “SpaceV progetta una serra multipiano adattiva; su ogni piano può coltivarsi un vegetale diverso. La serra verticale implementa il principio adattativo e utilizza più ripiani mobili che si adattano in altezza permettendo una resa produttiva per unità di volume nell’unità di tempo molto alta. Modificando il livello dei piani si riesce a sfruttare al massimo il volume disponibile mentre le colture crescono”.  

Nel video seguente, il funzionamento della serra adattiva multilivello ad uso spaziale.


A proposito di mestieri interplanetari, Gianluca Casagrande, direttore del Geographic Research and Application Laboratory (GREAL), dell’Università Europea di Roma, spiega il rapporto tra geografia e Spazio:

Esogeografia, uno dei possibili futuri della geografia: stiamo parlando dell’attività umana al di fuori della Terra. I geografi arrivano dopo gli astronauti, e quelli di adesso sono simili a quelli del 500: uomini che non viaggiavano, e avevano il paradosso di raccontare mondi che non potevano fisicamente toccare, ma della cui esperienza facevano sintesi. Oggi comincia il controllo dello Spazio, ci sono già fenomeni di inquinamento delle orbite, è un percorso oggettivamente intrapreso. I geografi sono interessati ai progetti di insediamento e vita nello Spazio, ai fortunati viaggiatori, alle riflessioni di chi porta avanti questi programmi e costruisce sulle esperienze precedenti. E questo è il futuro”.

Nel video seguente, l’intervento del prof. Gianluca Casagrande il 24 maggio 2022 nel corso dell’evento Fly Future.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=JvbxJLTuD8A]


Un’altra proposta di Malerba è nello sport spaziale. L’assenza di peso non fa bene e l’astronauta deve allenarsi sempre, con ciò togliendo comunque tempo alla missione. Così l’astronauta europarlamentare si è domandato:

“Non sarebbe meglio creare un sistema rotante, fatto con due veicoli collegati da un cavo che girano nello Spazio i quali, avanzando, garantiscano a bordo una parvenza di gravità, o gravità artificiale, dovuta alla rotazione ossia all’accelerazione centrifuga? Nei miei calcoli ho valutato la necessità di un cavo lungo circa due chilometri, con una rotazione di 60 secondi, con il risultato della mia equazione pari a L=2~1800“.


Guerra in Ucraina, sanzioni, NATO, in una parola: Russia. Ne siamo dipendenti “anche” nello Spazio? A spiegarlo è Gabriele Mascetti, capo ufficio del Volo Spaziale Umano dell’ASI:

“Le stazioni spaziali non sono tanto lontane. Estendere la presenza umana al di fuori dei nostri confini, contro radiazioni improponibili: non è ancora possibile al giorno d’oggi affrontarle da un punto di vista tecnologico, ma è il costo il limite più grande. Nessun Paese è in grado di supportare da solo questa sfida. La destinazione ultima è Marte, e passa attraverso la Luna, banco prova per testare le nostre capacità di vivere in un ambiente spaziale. I nuovi astronauti hanno una tuta privata, le Agenzie nazionali pagano e appaltano, aziende di liberi servizi si affacciano sul mercato”. 

L’ESA ha confermato la sospensione della collaborazione con l’Agenzia spaziale russa Roskosmos per il programma ExoMars, che prevedeva il lancio verso Marte del primo rover europeo e della piattaforma scientifica russa Kazačok con un vettore Proton nell’estate 2022.

“C’è una situazione di crisi in Europa, la guerra in Ucraina ci fa rendere conto che dobbiamo lottare per una nostra indipendenza, non possiamo più lanciare il primo rover come programmato, a causa di questo conflitto. Ora più che mai c’è bisogno di gente motivata ad arrivare nello Spazio. Servizi di cargo, supply, gestiti da privati, lo stesso per la parte Crew: fino due anni fa gli astronauti viaggiavano su veicoli russi, ora viaggiano su veicoli americani e privati. Lo stesso accade nell’HLS, l’Initial Human Landing System, oggetto di una competizione NASA privata, e c’è chi sta investendo anche senza aiuti governativi”.

Nel video qui sotto, un intervento di Mascetti  aFly Future 2022.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=3UFbFj8Qv-k]


La crisi post pandemia ha colpito il mondo, e sembrerebbe non vi sia scampo per il momento. Nemmeno la luce, il gas, le automobili sono più abbordabili, il carburante è salito alle stelle. Ma, come lui, alle stelle salgono anche i simil-proprietari spaziali, e le selezioni alla Star Treck sono sempre più ampie, i posti dell’autobus Galassia sono numerosi e liberi. Sebbene in sovrapprezzo. Il Covid, nello Spazio, non fa danni.

“Il mercato del lusso non è scalfito dalla crisi”, spiega Mascetti, “e nel 2020, mentre il mondo si fermava, le aziende operanti nello Spazio hanno continuato a marciare in tutta velocità. C’è una selezione in corso e si apriranno prospettive per volare più lontano oltre che in orbita terrestre. Le nuove selezioni comprendono meno astronauti titolari e più riserve – da 9 selezionati a 20/30 astronauti abilitati – per tenere il team sempre fresco e favorire il ricambio generazionale”.


In sintesi, oggi non si sogna solo dello Spazio, ma si sogna anche dallo Spazio. Ho chiesto a Malerba cosa sognasse da lì, se l’inconscio avesse preso piede sulla razionalità scientifica, quali le paure oltre il coraggio, a che filo fosse intimamente legato nella missione-del-filo Tethered. Cosa potremmo mangiare se vivessimo finalmente su Marte: solo verdurine? C’è spazio per Darwin? O meglio: c’è Spazio per Darwin? Ed altre domande anticonvenzionali di appannaggio di chi, nonostante quanto si dica (“Né di Venere né di Marte, non si sposa non si parte, né si dà principio all’arte”), intende sposarsi sia su Venere che su Marte, e decisamente partire per dar principio all’arte. 

“TETHERED. Appeso a un filo”. L’intervista di Romina Ciuffa a Franco Malerba – versione integrale: 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=ANeZELRpywo]

Romina Ciuffa