QUELL’EX CHE SI CANTICCHIA PER TUTTA LA VITA

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Ma poi l’hai dimenticata davvero? Sono anni che, finalmente, sei fuori dal “quel circolo”, quello in cui pensavi solo a lei (o lui) ed era divenuta un’ossessione, non facevi altro che rendere conto a te stesso delle volte in cui lei non ti cercava più, continuativamente, volte che per ciò solo si moltiplicavano a dismisura. Quel periodo in cui sei quasi finito a fare dello stalking, inviandole regali, poesie, messaggini tutti estremamente gentili, pur sempre assidui, fino a che non ti ha chiesto di non farlo più. L’altra ti amava ancora, ma tu non volevi farti vedere tanto distrutto e così facevi credere di essere un latin lover, di aver trovato tre anime gemelle, di uscire tutte le sere ed aver ripreso una vita nella piena normalità. In realtà, la cosa più normale che facevi era andare dalla psicologa a parlarle solamente di te, niente più traumi del padre o licenziamento, che peraltro rischiavi perché non sapevi più fare altro “che lei” ed anche al lavoro venivi o ripreso o evitato. Tutti gli amici ti avevano ascoltato per ore, per giorni, fino anche a mesi, ma poi hanno ceduto, si sono dovuti allontanare, e così tu andavi da amico ad amico fino anche al barman disposto ad ascoltarti parlare solamente di lei, per una notte. Molti di noi hanno vissuto un amore così, non di stalking ma di incredulità, “rassognazione” (quella fase che io ho definito tale dove ancora non ci si rassegna e si resta vincolati al sogno che l’altro possa tornare), amore tarpato, dolore, sensi di colpa, rancore.

Sono momenti eterni che non passano più fino a che, un giorno, passano.

Solitamente con un chiodo schiaccia chiodo. Si trova, infine, una persona bella più dell’altra, dolce più dell’altra, alta più dell’altra, anche famosa più dell’altra e ci si “accontenta” di tutti questi dettagli per dar vita ad una nuova storia d’amore e poter dire, a se stessi e al mondo gridare, “finalmente!”, “è finita!”, “amo ancora, amo un’altra, amo di nuovo, amo!”. Si procede in questo nuovo rapporto, che potrà durare per anni, e ci si sente quasi-felici. C’è qualcosa, c’è quel quasi, che però resta ed è indelebile. Sono passati davvero quei momenti eterni o sono semplicemente rimasti semi-eterni? Esiste, in un retrobottega del nostro cuore, la possibilità che resti fissa, indimenticabile, inossidabile, quella persona che agli altri si dice “finalmente ho dimenticato”? E perché torna nei sogni? Perché ogni volta che si litiga rientra dalla finestra della cucina pur essendo uscita dalla porta di casa? È possibile che certi amori, uno solo nella vita, per il calibro dello stesso, per come lo si è vissuto, per i traumi collegati, non sparisca mai più e si porti in vecchiaia?

È come una canzone, che rimane in testa e si canticchia, poi va via e poi ritorna: è stato provato dalla scienza che la canzone che resta in testa è quella della quale non si è ascoltata la fine, bisogna arrivare fino in fondo, a sentire l’ultima nota, affinché quell’earwarm – così è detto il motivetto fisso in testa che è come un vermetto dell’orecchio che colpisce i circuiti neurali – possa cedere ed allontanarsi dalla mente, smettere di essere canticchiato. Così quella storia, che mai è finita, non è mai finita e, per l’appunto, resta ferma, risale, annaspa, torna, agisce, concupisce, ottunde, rompe, colpevolizza, raggiunge, si sogna, non appena qualcosa non va. Se una storia non finisce non finisce, non si può farla finire con uno schioccare delle dita come un motivetto rock anni 70: se un amore non finisce, lo si canticchierà per tutta la vita.

Romina Ciuffa, 15 maggio 2025

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BUONGIORNO AMOR PROPRIO!

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Una delle cose di cui meno ci rendiamo conto ed eppure facciamo tutte le sante mattine è guardarci allo specchio. È un gesto consueto, ordinario, aprire gli occhi, lavarsi i denti, trovarsi dinanzi noi stessi tutti i giorni al risveglio. Non ci rendiamo mai conto di chi siamo, che siamo noi, che abbiamo una consistenza, che pensiamo, che ci stiamo guardando. Ci immettiamo in una giornata qualunque, piena di problemi, e per il sol fatto di non esserci guardati attentamente probabilmente attiriamo problemi ancora più numerosi o gravi. Accade questo perché non prendiamo consapevolezza di noi stessi tutte le volte che dovremmo. A volte ci si guarda poco perché si vuole evitare di vedere quelle rughe, quelle cose che appaiono con l’età ma che non si vuole vedere; a volte semplicemente perché si ha fretta. Ebbene, quelle stesse rughe dobbiamo imparare ad apprezzare, quello stesso volto corrucciato, a volte triste, a volte arrabbiato, quello sereno e gioioso per nulla. Tutto va apprezzato, la mattina allo specchio bisogna render conto per trovare il coraggio di gridare: “Buongiorno amor proprio!”. 

Durante la giornata troviamo mille riflessi di noi, specchi nei negozi, in palestra, vetri molto puliti, finestrini delle automobili, ovunque è riflesso il nostro aspetto e ovunque proiettiamo la nostra consistenza con una forza innata, quasi temibile, ma anche di questa non ci accorgiamo. Siamo troppo presi a vivere la vita di qualcun altro, di coloro che sì ci rendiamo conto di vedere, con i quali abbiamo a che fare tutti i giorni o una volta sola, ci succhiano vivi. Dedichiamo a costoro lo spazio che è per noi stessi, quello specchietto retrovisore nel quale dovremmo guardarci per impugnare bene gli occhiali da sole e sentirsi grandi attori di cinema francese. Trascorriamo le giornate senza badare ai nostri riflessi, sia pur riflettendo, eppure dovremmo gridare, ancora, “Buon pomeriggio, amor proprio!”.

Infine giunge la sera, che sollievo diciamo, come se la nostra vita non fosse utile, non dovesse che essere vissuta la sera per cenare ed andare a dormire, o per uscire a volte, dimenticando interamente l’importanza della giornata, comunque essa sia trascorsa, che fa pienamente parte della nostra vita come tutti quegli specchi che abbiamo intercettato e dove la nostra immagine si è posata per un attimo, mentre noi badavamo ad altro. Arriva la sera e ci ritroviamo di fronte, forse, allo stesso specchio della mattina o ad un altro simile di un altro bagno, sempre di fronte alla nostra immagine più stanca della mattina, forse più fiera perché, poco prima di andare a dormire, ci si sente sempre più forti per l’ottundimento che si aspetta e che sembra semplice da affrontare ma che, in realtà, è ancora più difficile di tutta la giornata trascorsa perché ad essa dovrà rendere conto attraverso le posizioni dell’inconscio. Eppure dovremmo urlare, ai quattro venti: “Buonanotte amor proprio!”.

Specchio specchio delle mie brame, nel mio reame io ti guardo, mi vedo, sono la forza in cui io credo, tu rifletti, tu rifletti, mentre vivo tu rifletti il mio volto disarmato: io mi guardo e sono amato!

Romina Ciuffa, 14 maggio 2025

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SEMPLICEMENTE FREGATENE

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Non devi per forza esserne innamorato. Puoi passare tranquillamente la vita con l’altro senza amarlo come il primo giorno. Le cose cambiano troppo ogni volta e non puoi stare al passo coi tuoi tempi. Perché, perché svegliarsi angosciato tutti i sacrosanti giorni e fare caso alla tua angoscia, doverle delle spiegazioni? Non è necessario, come non è necessario chiederti per forza cosa fare, se restare insieme o lasciare andare, attivare i meccanismi della bomba, l’esplosione nucleare che spazza tutto via.

Perché, invece, non te ne resti privo d’amore a sollazzarti nel letto? Non devi mica dirglielo, puoi tenere questa storia così anche tutta la vita perché nessuno ti obbliga ad amare.

Quando nasciamo vediamo, e non sempre, questi esempi perfetti di amore che sono i nostri genitori o i genitori di altri, i telefilm, il grande e il piccolo cinema, le canzoni, le maestre, i lavoretti, tutto ci parla di amore e così crediamo che anche noi ne avremo ma che, soprattutto, ne vorremo. È lì che comincia l’incubo, è da quel momento, quello in cui vengono passate queste immagini di amor romantico o di piatti da lavare in un magnifico contesto famigliare che ti fa invidiare anche solo la pila di quei piatti, che inizia l’ossessione: l’estremo bisogno di averne anche tu. “Se ce l’hanno tutti, l’avrò anche io”, pensi a cinque anni, poi a sei, poi a dieci, ma più cresci più ti accorgi che i rapporti con gli altri, con l’altro, sono difficilissimi e che è estremamente facile, invece, rimanere da soli, in totale beltà dei sensi.

Il sesso, infatti, non è un problema: quello di può avere sempre e comunque, lo si può pagare, lo si può fare da soli, addirittura si può anche non prevedere nella propria vita. È già da piccoli che ci si intossica dei cattivi pensieri di un meraviglioso amore e, crescendo, se poi esso non si consegue si finisce frustrati, depressi, angosciati, a forza di cercare si trova l’amore sbagliato, un amore di cui ti accontenti perché ne sei ossessionato o perché, è vero, l’ami, ma non è quello che vuoi, non è l’anima gemella, non è niente, non è nient’altro che un amore. E poi ti annoi, ti annoi tanto. E tu, che ci fai con un amore?

Assolutamente niente. Colmi i tuoi vuoti. Così, non ti fare problemi: se ti svegli e accanto a te hai una persona che non ami nemmeno un po’ ma della quale sai di essere dipendente, non fare, non dire nulla, fotografa la realtà, sii consapevole del fatto che da solo non vuoi svegliarti, che hai una forte dipendenza dall’altro, dunque risolvi così: nutri questa dipendenza e non t’angosciare più. Ti urla? Fatti urlare addosso. Ti tratta male? Fatti trattare male. E una cosa, fissa, tu l’abbia sempre in mente, non devi far altro che una sola cosa: fregartene. Dunque, per nutrire la tua ossessione, per cancellare le tue paure, per occultare la tua angoscia fai solo questo: fregatene. E fregatene se stai mentendo: sei tu l’unico che deve stare bene. Fregatene.

Romina Ciuffa, 13 maggio 2025

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TI SI CHIEDE SOLO DI VENIRE DENTRO

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TI SI CHIEDE SOLO DI VENIRE DENTRO. Mi dicono tutti: perché scrivi sempre di brutti amori e non di quelli belli? Innanzitutto, perché il mio libro parla di amore patologico, dunque si sofferma sul tradimento, le ossessioni, la dipendenza ed ogni altro tipo di piaga che attanaglia i nostri amori per colpa solamente nostra. In secondo luogo perché l’amore bello non esiste, o meglio, certo che esiste ma è sempre e comunque patologico. Infatti è patologico lo stesso concetto di amore. Amare è spontaneo, un’emozione infallibile, un dolce tormento, la delizia dei sensi – ma per tutti, nessuno escluso, diviene l’unica cosa per cui vivere o sulla quale vivere. Si vive sull’amore come se stessimo sempre con i piedi su un tappetino fatto della persona che crediamo di amare per sentirci al sicuro – lui starà facendo la stessa cosa. La coppia nasce semplicemente dal fatto di doversi unire per riprodursi, dunque una classicissima teoria darwiniana di riproduzione all’interno della specie che fa sì che, perché ciò avvenga, si trovi prima un piacere perché per dovere non lo farebbe nessuno.

Se non esistesse il piacere dell’orgasmo o quello dello stare insieme e sentirsi sicuri con un partner, nessuno si sacrificherebbe per la procreazione,la razza umana si sarebbe già estinta perché non c’è chi non fa niente per niente; se la riproduzione avvenisse con una procedura più complessa, poco ortodossa, anche faticosa, una qualunque procedura manuale, non tutti vorrebbero i figli o sarebbero disposti a darne al mondo perché l’essere umano si salvi dall’estinzione. Nessuno è tanto magnanimo. L’istinto materno esiste perché la donna, rimanendo incinta, gode, ma nemmeno sempre (non è comunque requisito essenziale, tutt’altro), esiste perché sa che ad un certo punto, in un momento qualsiasi della sua vita, intorno ai quaranta o cinquanta, non potrà più avere figli ed eccolo, l’istinto materno. L’istinto paterno, invece, non esiste nemmeno. Il padre è tale perché fa sesso e, anche lui, gode, ma non deve fare altro che venire, non gli si chiede nient’altro. Venire per l’uomo corrisponde non solo al piacere ma anche all’unico momento in cui è padre. Tutti gli altri momenti sono concessioni, responsabilizzazione: lui si concede a fare il padre ed anche ad aiutare la moglie durante la gravidanza, alcuni anche dopo, e costituire figura paterna per il figlio. Ma si badi bene: l’unica cosa che a lui è davvero richiesta è solo l’orgasmo e in una modalità estremamente piacevole, quella del possedere una donna per “venirle dentro”, non fuori.

Ora esistono anche cliniche della fertilità nella quale all’uomo nemmeno si chiede più di “venire dentro”, purché venga in un barattolino e lo consegni alla segretaria. Pertanto, ancora meno risulta essere necessario il padre. Parlando di massimi sistemi, l’amore patologico esiste solo perché uomo e donna hanno creduto di essere superiori rispetto agli animali e, non come questi ultimi, hanno deciso di creare quella che hanno poi chiamato “famiglia”, la più grande ipocrisia che l’intelligente essere umano ha convenzionalmente predisposto, come unico presupposto l’opportunismo: è meglio aiutarsi che stare soli, dunque andiamo a vivere tutti sotto lo stesso tetto “perché ci amiamo”. L’amore è un’altra cosa, l’amore è volere bene anche se non si fanno figli, anche se non è coinvolto l’elemento sesso, l’amore c’è perché improvvisamente si sente questa cosa nel petto, ma non si pensa “che emozione, faccio un figlio”.

Gli animali sono da rispettarsi per la loro intelligenza emotiva: si amano per amare senza chiedere nulla in cambio, si accoppiano altrove con chi non sarà un partner bensì solo la naturalissima esplicazione della riproduzione, porta vermetti ai figli solo per pochi giorni e poi via, si viva la vita ciascuno con nuovi amori. Questa eclatante intelligenza che l’uomo vanta altro non è che paura, una grande paura mista a possesso e gelosia, e non solo: il più grande narcisismo che Dio abbia creato, quello del “voglio un figlio che assomigli a me” mutato poi in “voglio un figlio che assomigli a noi” – per il terrore che l’altro donatore possa essere brutto, si sceglie quello che piace. Ed ecco fatto, l’amore che con l’amore non ha proprio niente a che fare.

Romina Ciuffa, 12 maggio 2025

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LA FAMIGLIA NON È ESSENZIALE

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LA FAMIGLIA NON È ESSENZIALE. Chi ha detto che bisogna amare per forza? Perché sentirsi strani, diversi, se non si ama, se non si è amato, se non si ama più? Gli animali utilizzano la stagione degli amori per riprodursi, gli esseri umani pretendono di amare in continuazione e, quando non lo fanno, campano scuse o si sentono diversi dagli altri, si vergognano a uscire da soli, le donne entrano nella sindrome della zitella che le rende ancora più ridicole. Non amare è uno dei più grandi vantaggi del vivere, che non vincola, non dà dolori, non copre tutte le altre emozioni con questa unica, falsa, emozione: quella dell’amare.

Amare, infatti, è una emozione falsa e fallata; è falsa perché non consente di avere la mente lucida per sapere dell’altro cosa piace, e se piace. Ci si innamora delle persone sbagliate: quale emozione è più falsa di questa? Perché incastrarsi in un tornado di emozioni malate verso qualcuno che non si addice a sé? Solo per non restare soli? O per crollare nel paradosso della caverna, di chi esca da quel buco nero in cui sempre è stato e viene accecato dalla luce del sole, chi crede che quelle ombre siano persone e si innamora di una di esse. Ebbene, sono solo ombre.

Non si può vivere una vita completa per se stessi se ci si innamora di un’ombra, di ciò che sembra essere vero ma è falso. L’amore è un sentimento quasi inutile, tranne che nella parte in cui c’è la dimensione sessuale – ma questa finisce presto – o in cui è possibile, sempre che lo sia, costruire una famiglia – ma anche questo ormai è estremamente gestibile, perché la famiglia stessa non è essenziale, nemmeno negli animali esiste la famiglia. Difficilmente le famiglie restano insieme ed ora si può tranquillamente dire che un bambino non ha bisogno dei genitori, altrimenti nessuno di questi dovrebbe o potrebbe lasciarsi. Il bambino può tranquillamente andare avanti vedendo padre e madre in momenti diversi, altrimenti non sarebbe stato creato in nessuna parte del mondo l’istituto del divorzio.

A maggior ragione, non servono un padre e una madre ora che il processo scientifico ha fatto il proprio corso ed è possibile, per tutti, ricorrere a cliniche per la procreazione, dove a volte manca il padre, a volte la madre, pur sempre i clienti ne escono con un bambino in braccio. La scienza, che ha avuto da sempre come acerrima nemica la Chiesa e ancor di più le forze conservatrici, parla chiaro: l’amore verso un altro non è più necessario. È carino, è divertente, è addirittura bello per un po’: ma poi basta, non siate ridicoli, soli si sta benissimo.

Romina Ciuffa, 11 maggio 2025

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RIDICOLI SENSI DI COLPA, CREPATE

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RIDICOLI SENSI DI COLPA, CREPATE. Tu davvero credi che l’amore con tua madre non sia patologico? Credi che sia un amore che viene dalla natura prima che dal cuore, lei che ti ha dato la vita e ti ha consentito di viverla insieme a tuo padre, se è rimasto. Ma tu non devi niente a nessuno. Per questo, di certo in Italia, l’amore verso la madre è uno degli amori più patologici che esistano. La politica del senso di colpa che viene inculcata a noi italiani – si dice che è perché abbiamo il Papa vicino, e di noi romani si dice anche peggio, considerato che ospitiamo dentro di noi quello staterello infingardo che è Città del Vaticano con il suo cattolicesimo ed il potere temporale – spiega i suoi effetti per tutta la vita. Non vuoi lasciare tua madre sola? Quanti italiani hanno rifiutato un lavoro all’estero per stare vicino alle proprie famiglie? Anche alle sorelle “zitelle” (ma ora si dice “nubili”) dei famigliari dei famigliari? Quanti, invece, hanno accettato quel posto all’estero e la mattina, svegliandosi felici della loro fuga di cervello ed esonerati dalle idiosincrasie ed idolatrie italiane, dunque fondamentalmente liberi, in realtà liberi non sono? Resta sempre quel sensetto di colpa, che fa prendere il telefono e quasi tutti i giorni se non più di una volta al giorno chiamare e dire: “Mà, come va? Come sta papà? Ah, capisco. Sì, me ne rendo conto, sì mamma sì mamma sì mamma” perché si è riempiti da quella vampata di problemi dei quali la menopausa non sopraggiunge mai.

L’amore con la madre è una delle cose più patologiche che noi italiani abbiamo nel nostro patrimonio ereditario, tanto da farmi desiderare di svegliarmi un giorno svedese, ancora meglio finlandese: avrei, innanzitutto, vari assegni dello Stato, ad esempio quello per ciascun figlio che faccio. Poiché non ho intenzione di fare figli, avrei altri assegni e di certo nessuno mi guarderebbe stranamente, come fossi sulla via di quelle famose zie con la z di zitelle. Questa è l’Italia, e l’amore per essa è estremamente patologico. È assurdo sbavare per mozzarelle di bufala e cannoli siciliani, dire “io sono italiano” con tutta quella presupponenza, stare a spiegare agli amici che vengono dall’estero di quanto siamo addirittura stanchi di tutti questi turisti; assurdo poi, arrivare a fine mese sbattendosi senza nessun aiuto, logorati dai call center che chiamano almeno una ventina di volte al giorno (se ti iscrivi al Registro delle Opposizioni da lì prenderanno il tuo numero e paradossalmente riceverai il doppio delle telefonate da operatori di falsi e truffe), finiti dalle tasse, dagli obblighi, dalle stupidaggini televisive, dal monopolio di una Maria de Filippi che ha decerebrato milioni di spettatori, esautorati da brutta musica e brutti film, privi di speranze su qualsivoglia cosa – non puoi aprire un business, non puoi andare in pensione, non puoi cercare lavoro senza la frustrazione di non trovarlo, non puoi fare nulla. Eccolo l’amore più patologico, quello per questa Italietta inutile che è solo bella ma nemmeno troppo: non saranno da meno i panorami del Nevada o quelle infinite costiere australiane, non saranno brutte le isole maldiviane, thailandesi, filippine, solo perché abbiamo la Toscana non potremmo definirci migliori di quelle infinite distese di ghiacci verso i Poli dove andiamo a cercare aurore boreali sulle slitte.

Così se un genio della lampada mi chiedesse quei tre desideri per liberarlo, annetterei al mio primo, segreto desiderio, questi: voglio una landa dove posso atterrare che sia tutta mia e dove arrivi solo bella musica; voglio che sia espulsa immediatamente dalla stessa memoria Città del Vaticano con tutte le altre religioni del mondo, perché “pace” lo sappiamo dire tutti, non serve un nuovo Papa che Putin non ascolterà, eliminati gli estremisti, eliminato ogni riferimento al post mortem, che si coltivi la vita senza pensare a quando saremo morti e senza sensi di colpa verso l’Italia, verso Dio, verso tua madre, verso se stessi. Punto tutto, però, sul mio primo desiderio: quello mi garantirà la felicità, il secondo mi darà panorami illesi da visitare con il mio elicottero, il terzo mi toglierà, finalmente, quell’angosciosa voglia ossia necessità di chiamare mia madre ovunque io sia, soprattutto se sto bene, e la tradurrà in uno spontaneo e dolce “mi manchi” esente da tutte quelle tasse da pagare alla nostra stupidità culturale.

Romina Ciuffa, 10 maggio 2025

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TI VA DI FARE A SCAMBIO DI COPPIE?

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TI VA DI FARE A SCAMBIO DI COPPIE? Chi ha detto che non si possono fare scambi di coppia? Esistono, dunque si possono fare. Una cosa è giudicarli, altra è sapere che esistono e, dunque, per ciò solo legittimarli. Non è una porcheria. È più una porcheria il tradimento. Lo scambio di coppia innanzitutto è accordato da entrambi i partner, e questa è la cosa principale. Da una parte ciò potrebbe voler dire che i due le stanno provando tutte per mantenere il rapporto e strapparlo alla noia; sono anche disposti a dividersi con altri pur di tornare a sentire quelle emozioni di gelosia e possesso: ma questo è un punto a loro favore che, in qualunque modo, vogliono provare a stare bene insieme, sia pure machiavellicamente. Il sesso di certo è al centro di questo esperimento: sesso assente o annoiato tra i partner di entrambe le coppie, desiderio di sperimentare il nuovo con un pizzico di immoralità, possibilità di andare a letto con un’altra persona senza tradire la fiducia del partner.

Io ritengo molto meno immorale lo scambio di coppie che il tradimento. Nello scambio di coppia c’è tutta una ritualizzazione, la conoscenza, il corteggiamento di una intera coppia verso l’altra, due a due, lo studiarsi, l’annusarsi, il capire se si è giusti gli uni per gli altri. Ci vuole una fermissima volontà e deve essere azzerato il senso del possesso, operazione che entrambi compiono per poter dar luogo allo scambio senza soffrire. Che non sia, infatti, il gioco di uno solo con l’altro connivente, non è sensato accettare uno scambio quando si sa che si soffrirà. La noia del rapporto, attraverso lo scambio di coppia, sarà forse ravvivata per qualche tempo, ma bisogna capire e sapere, sempre, che non passerà: il rapporto comunque sarà noioso e, per lo scambio, potrebbe persino logorarsi, ma i due sono disposti ad accettare il rischio.

Nel tradimento, non esiste lealtà ed è presente l’azzeramento dell’altro, anche in un tradimento meramente sessuale. Non c’è nessuno che merita di essere tradito, tranne chi ha tradito. È una morra cinese. Non si parla di immoralità bensì di sfiducia, concetto ben più elevato e pericoloso. La morale la si costruisce convenzionalmente, secondo i valori in voga nel tempo e nel luogo e, soprattutto, quelli primari dell’individuo che può costruirsi una morale propria totalmente svincolata da quella della massa. La sfiducia ed il suo ambito opposto, la fiducia, sono invece costrutti complessi: se la fiducia ha bisogno di molto tempo per costruirsi con fatica e sangue freddo, per poi dare dei risultati magnifici – il senso di potersi fidare è uno dei primi pilastri dell’amore – la sfiducia, invece, la si costruisce in un attimo sfaldando l’altra. La sua costruzione corrisponde alla distruzione del suo opposto, che tanto tempo ha richiesto per essere tirato su; una scossa di terremoto, un tradimento, un colpo secco e via, la fiducia non c’è più. E mai più tornerà. Il rapporto finirà per sfaldarsi e, sia pure tenuto in vita, non sarà più quello di prima, sarà lo zimbello di un rapporto leale, il buffone della casa, il cornuto da insultare. Un tradimento non può accettarsi perché è una mancanza di rispetto che uccide la fiducia.

Allora si capisce quanto sarebbe stato meglio fare un bello, immorale, scambio di coppia con due perfetti sconosciuti. Ma pure un’orgia, purché non si tradisca.

Romina Ciuffa, 9 maggio 2025

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CORTEGGIARE È SESSO

CORTEGGIARE È SESSO. Il romanticismo è essenziale in una coppia? O è solo una cosa in più, un’impalcatura di fiori e candele profumate? Si dà per scontato che almeno il corteggiamento sia di tipo romantico. Tralasciando le considerazioni per cui i ragazzi di oggi hanno totalmente ristretto questa prima fase a un messaggio di whatsapp, per chi rimane sulla Terra reale uscendo da quella virtuale il corteggiamento resta una cosa importante, la famosa rosellina, la cena a lume di candela, la sorpresa, le luci soffuse a casa, un camino acceso e tanto di più, chi più ne ha più ne metta. Vi sono dei corteggiamenti che mancano di questi elementi perché la persona coinvolta romantica non è e, se non si è romantici, è impossibile anche solo capire l’importanza di una rosellina. Ciò non vuol dire che il corteggiamento non ci sia, ma è del tutto diverso e si basa più su azioni concrete, telefonate, messaggi, introduzione dell’altro nella propria normalità, infine il bacio.

Il corteggiamento può dirsi tale se non è romantico? Romanticismo e corteggiamento sono strettamente collegati, ma in un unico senso. È il romanticismo che va a permeare, in alcuni casi, il secondo, e non è quest’ultimo che cerca il primo; però, di certo rosa rossa e “ti passo a prendere” vanno a braccetto e consentono di dar luogo ad un corteggiamento più risonante, dolce, anche divertente, perché le armi del corteggiamento sono diverse per tutti e, a parte il mazzo di rose, può essere dato spazio alla creatività. Io, ad esempio, alla prima uscita ho portato una pianta di peperoncino – volevo dire che la nostra storia la volevo piccante.

Corteggiare è a tutti gli effetti rivolgere gentilezze a qualcuno per guadagnarne l’amore. È un’attività composta di molti atti singoli che vanno visti nella loro interezza come la richiesta di attenzioni e un biglietto che dice “con te sarò sempre così”. Ma galanti, poi, spesso si smette di esserlo. Il corteggiamento non deve essere fine a se stesso, non è solo la danza stupenda di quegli uccellini che, per attirare l’attenzione dell’uccellina, tirano fuori grandi pennacchi colorati e si mettono sotto il suo ramo a fare i buffoni. Corteggiare è mantenere il senso della galanteria per sempre nel rapporto, che esso duri una settimana o una vita, soprattutto in una lunga relazione dove le possibilità di divenire “come fratelli” sono elevate. Aiutati che Dio ti aiuta.

Qualche fiore al compleanno, una sorpresa in mezzo a una settimana qualunque con una prenotazione in un ristorante che piace, un weekend fuori, anche un agriturismo qualunque, purché si manifesti la voglia, la volontà, il desiderio, la necessità di corteggiare ed essere corteggiati in ogni momento, di ricreare momenti di grande bellezza da impilare insieme ad altri per non stancarsi mai. Corteggiare è un’arma molto potente per far sì che la relazione non si oscuri, non si appiattisca, va visto come una strategia d’elezione per amare qualcuno che si è già amato, non solo per provare ad amare qualcuno che si amerà. Corteggiare è anche preludio di un sesso migliore. Corteggiare è sesso esso stesso, è tornare agli inizi anche solo per due ore, anche solo in un fiorellino, anche solo in lenzuola di seta, corteggiare è mantenersi vivi, corteggiare è amare, sempre. È mantenere il pennacchio colorato sulla testa e tornare a ballare, ogni tanto, per l’altro.

Romina Ciuffa, 8 maggio 2025

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DOVE C’È ATTACCAMENTO C’È ATTACCO

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DOVE C’È ATTACCAMENTO C’È ATTACCO. Il partner attacca sempre, qualunque cosa si dica è una polemica, un’aggressione, tutto scade in una paura che non va più via. Questo attacco solo a volte è consapevole, arriva da una parte di odio ma principalmente dall’attaccamento, un attaccamento ambivalente che è proprio della coppia con se stessa, che si autogestisce e si autopossiede nonché si autoattacca. Il tono aggressivo si è formato nel corso del tempo via via che le differenze tra i due sono andate emergendo e consolidandosi, nessuno ha fatto nulla per arginarle prima o non si è potuto fare nulla; da un certo punto della relazione in poi, l’attaccamento diviene molesto, si risente dentro di sé, diviene più intrinseco dell’amore e, non potendo più fare a meno dell’altro, passa in attacco. Un continuo attacco che fa solo feriti, vinti o morti, ma il rapporto non si interrompe mai. Perché non chiudono? Perché l’attacco è una delle prime forme di attaccamento, come a scuola quando si dice “ti tratta male perché gli piaci”, o quando “chi ti vuol bene ti fa piangere”; più in generale attraverso l’attacco si cattura la preda e la si mangia, la si incorpora, si calma un bisogno (la fame) e se ne colma un altro (il possesso).

Cos’è quell’angoscia che contraddistingue fissamente certe relazioni, che finisce per essere notato anche dagli esterni ed inviso? In che modo superare una giornata che inizia con un senso di dolore misto ad ansia, e con una sottesa rabbia, apparentemente senza motivo? L’amore misto ad angoscia è qualcosa di molto comune, sebbene molti tendano ad occultarlo consciamente o inconsciamente. È un fortunato, non solo un maturo, chi non si associa ad alcun sentimento negativo in amore, chi sa prendere e lasciare, chi sa essere più forte delle provocazioni o dei difetti dell’altro o chi, infine, sa dire basta. Non in pochi, lo sappiano o no, si svegliano con l’angoscia e attendono sera per rimettersi nel letto per obnubilarsi, non perché ci sia l’altro, tenero mostro di dolore che da sempre si è sognato ma che ora, quando si ha, riesce a tirare fuori incubi poiché si incastra con i più grandi vuoti sperimentati o le esigenze ossessive che spavaldamente si presentano.

L’angoscia è, per molti versi e per quanto sia difficile da dire e da credersi, uno dei nostri migliori amici poiché ci indica una via d’uscita da qualcosa che, cognitivamente, non siamo in grado di ritenere sbagliata. Tanti sono i rapporti che si basano su sensi di ansia, di dolore, su ciò che ci si aspetta dal rapporto ma non è, su ciò che il rapporto è. Spesso quest’ultimo non ha nessuna colpa, tutta quell’angoscia è da imputare ad insoddisfazione personale, a conflitti interiori non risolti e, direbbe Freud, ai rapporti con il padre. A volte, aver ucciso il genitore sembrerebbe l’unica soluzione possibile. Eppure restiamo sempre bambini e, come bambini, o vogliamo assolutamente e a tutti i costi essere accuditi, o pretendiamo di stare da soli e di non essere mai controllati, di poter decidere per noi ma, nel contempo, godere di tutti i benefici che si ottengono nella casa di famiglia dalla presenza dei due genitori: in poche parole, siamo tanto infanti bisognosi quanto adolescenti odiosi. Queste due condizioni, anche contemporanee, si riflettono sulle nostre aspettative verso il partner.

Da lui vogliamo che ci accudisca, che si prenda cura di noi, che corra ad ogni nostro minimo urletto, che ci sia secondo i parametri di un attaccamento sicuro; ma pretendiamo anche che non ci affligga, che non sia questuante o domandante, che ci lasci spazio per respirare, secondo i parametri finali di un attaccamento ambivalente. Dov’è c’è attaccamento c’è attacco, e fino ad un certo punto questo attacco è il segno piacevole dell’essere visti – ma così non è. Ci sono delle persone predestinate a stare insieme perché l’incastro è perfetto anche nel male e così, là dove l’uno sta male l’altro fa male, con una complementarità eccellente anche nel negativo; altre, che non sono assolutamente fatte per stare insieme e pretendono di farlo, le stesse che si svegliano con l’angoscia e con essa debbono convivere per anni, perché non riusciranno mai ad abbandonare il rapporto, fa talmente male che quel dolore – abitudinario, costante, galante – serve.

Certe storie si svegliano nella notte per una scossa di terremoto, e pensano angosciate non alla scossa appena sentita, ma a come fare per stare insieme: il terremoto è solo una scusa per svegliarsi a pensare male. Tutti consigliano loro di terminare la relazione, suggeriscono che neanche la terapia di coppia varrà qualcosa, che sarà una perdita di soldi e di forze. Tutti hanno ragione. Questi due si amano?

Lo vedranno con la psicoterapeuta di coppia.

Romina Ciuffa, 7 maggio 2025

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MI SVEGLIO E DI SOPRASSALTO NON AMO PIÙ

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MI SVEGLIO E DI SOPRASSALTO NON AMO PIÙ. È possibile svegliarsi un giorno di soprassalto e non amare più? Ieri, solo fino a ieri sera si amava infinitamente non questionando, oggi, da stamattina improvvisamente ci si sente piatti e boom!, il cuore batte solo per le funzioni vitali e accelera per l’ansia, si guarda alla nuova giornata con un senso del dovere e non più del piacere. Ma boom!, non si ama più.

È assolutamente possibile svegliarsi un giorno e non amare più. Ciò non è avvenuto nel sonno, sono giorni, mesi, anni che si cova. È come la fame, si crede quasi non si mangerà mai più perché non si ha fame e si è mangiato troppo, ci si sente pieni, troppo pieni, non si pensa al cibo perché lo si è avuto e nemmeno costituisce una preoccupazione e poi, improvvisamente, eccola, la fame. E tanta pure. Ma se fino a poco prima ci si pensava eterni, immortali e magri, e al supermercato con orgoglio si saltavano tutti i banconi del cibo, come si fa, solo pochi minuti dopo, ad essere morsi dalla fame? Così è la fine dell’amore. Si aveva la pancia piena, l’amore c’era, si guardavano solo banconi con altra merce, non ci si interessava all’argomento e poi eccola, improvvisamente, la fame. Eccola, improvvisamente, la fine dell’amore.

Bisognerà fidarsi di un sentimento tanto impulsivo? Ed anche, è la fine dell’amore un sentimento o è l’assenza di sentimento?

La fine dell’amore è un sentimento, a volte anche più preponderante della sua presenza perché anziché far cessare, insieme all’amore, anche tutte le altre funzioni correlate, le tiene attive ed esse logorano chi le detiene. La parte cognitiva, prima di tutto: la fine dell’amore significa non amare, e significa anche non amare più una data persona con la quale si era creato un costrutto complesso di informazioni presenti ed aspettative per il futuro; dunque, quando ci si sveglia ad amore finito tutto ciò che si ha intorno non ha più senso, le piccole e le grandi cose, il telefono, la casa, la famiglia dell’altro, la vita. Tutto ciò che fino al risveglio era intorno alla coppia e definiva l’altro e, con lui, la propria vita quotidiana (orari, amici, conversazioni, abitudini) non ci sarà più, questa è la prima perdita. Può, cognitivamente, eliminarsi la figura dell’altro dalla propria vita, immaginando si usi una gomma da cancellare per rimuoverlo da tutto, ma cosa ci sarà a tappare quei buchi che lui, la sua famiglia, le sue chiamate, le sue fissazioni, i suoi amici, le cose che lo riguardavano erano lì per tappare?

Poi c’è la parte emotiva, che viene a mancare: resta presente come tormento ma diviene assente per la fine dell’emozione amore. Si soffre per l’assenza del costrutto cognitivo: il pensiero continuerà ad attivare i processi neurali abitudinari ma si troverà carente del frammento finale, quello dell’esistenza. Il costrutto cognitivo ha invaso, nel tempo, nevrosi, discussioni, cibo, noia, costrizioni, tutte sicurezze di cui l’essere umano ha tremendamente bisogno e che ora saranno mancanti, con il risultato di rendere il processo neurale attivato monco.

C’è la parte emotiva dell’essere solo: non amare più significa essere intimamente soli e solitari, trovarsi ovunque con chiunque ma sempre con nessuno, intrinseca solitudine inaccettabile, a primo avviso, da colui che è abituato ad avere un oggetto da amare che costituisce compagnia perenne anche nell’assenza.

C’è la parte psicologica, che investe il deludere se stesso per essersi disatteso e il dissociarsi da ciò che fino alla notte si era visto per sé, una persona fatta di due, una identificazione ben marcata della coppia e di quella coppia, il dover scindere il proprio sé dal sé altrui e cancellare quest’ultimo per riprenderne il possesso. Come abituarsi all’idea che quella persona non dipingerà più, con i suoi colori, il proprio letto, la casa, il mare? Non la questione cognitiva del comprendere di essere soli né quella emotiva del non essere con nessuno, bensì la questione assolutamente psicologica, quando non psicotica, della derealizzazione e depersonalizzazione di tutte le emozioni correlate a quello specifico altro, il proprio altro, l’essere in possesso di qualcuno e improvvisamente attendere di vedersi, d’ora in poi, in possesso di nessuno né in possesso di quel qualcuno, il senso di alienazione dalla realtà e da se stessi quando, in tutte le ore successive da quelle del risveglio, non ci si identificherà più con quella persona, ogni giorno successivo risvegliarsi e rivivere di nuovo il trauma del non c’è più non trovandolo, sapere di non essere più dall’altro posseduti per il sol fatto di non amarlo più quand’anche l’altro continui ad amare, non dipendere più da nessuno né da quella persona, dover fare i conti con la re-cognitivizzazione del tutto e di se stessi, sentirsi strani, preferire il sonno, sperimentare incredulità, ricercare ottundimento per non provare. Un processo inarrestabile, ineluttabile, che fa più male che l’amare stesso.

Per questo, quando improvvisamente, proprio come la fame, ci si sveglia e, di botto, si sente la fine dell’amore, è bene fare una cosa: girarsi dall’altra parte e dormirci un altro po’ sopra, poi svegliarsi, fare colazione, e per qualche anno fare finta di niente.

Romina Ciuffa, 6 maggio 2025

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