NON DEVI MAI PERMETTERE DI MALTRATTARTI
NON DEVI MAI PERMETTERE DI MALTRATTARTI. Certe volte si vive talmente male una relazione da accoglierla proprio così com’è, inermi, senza accorgersi che quel continuo dolore, quel costante forte malessere, quella paura, proviene tutta dall’amore. Bisogna prendere questa paura e farne forza, ma è una paura devastante che blocca l’intera sfera psichica e fisica del maltrattato. È ciò che accade a chi sposa un marito violento – la sua presenza, i suoi costanti abusi divengono pane quotidiano – ma non solo: il maltrattamento può avere la melliflua forma di parole e gesti, e questo lo rende meno riconoscibile; è in grado, però, di provocare gli stessi sintomi in chi lo subisce di una relazione fisicamente violenta, e pure di essere classificato come abuso. Le reazioni dei maltrattati, lividi a parte, sono le medesime. E allora, perché non si lascia il violento? Per la presenza di una forma grave di dipendenza, spesso di codipendenza o controdipendenza narcisistica, tale da poter essere già stata formata ai tempi dell’infanzia o dell’adolescenza da chi ha maturato un attaccamento insicuro, instabile, cosicché chi è stato già oggetto di maltrattamenti, crescendo, quelli torna a volere, inconsciamente. È quella la sua zona comfort.
Ma no, non puoi farti maltrattare. Devi alzare gli occhi, non appena ti dice “ma sei cretina?” o ti insulta perché non fai e dici quello che ha detto, devi avere il coraggio di gridare BASTA. Sarà difficile come l’astinenza da droga ma poi, superato il primo periodo, ci si sentirà immediatamente meglio, come fosse accaduto un miracolo. Non c’è nessuno che meriti un maltrattamento. Maltrattante può essere anche una donna, che infierirà meno con le mani ma lo farà con le parole e gli atteggiamenti. Ti trovi a soffrire ciecamente senza poterti appellare a nulla perché l’abuso è talmente sottile da rendere evanescente quella linea di confine tra la reazione o il silenzio, per il fatto di temere che si stia sbagliando (autoattribuzione) e non che l’altro stia, in effetti, maltrattando e, per ciò, finisci per non reagire. Diviene l’impero dei sensi di colpa.
Mi ci sono trovata, sic, e non è stato bello, non tanto per l’inviso maltrattamento, quanto perché ho sentito di non poterlo perdonare, non potevo chiudere un occhio sull’abuso che da tempo veniva perpetrato su di me, e così in me, ogni volta che mi maltrattava, era sempre più chiaro che non potevamo stare ancora insieme, e questo mi cagionava un ulteriore trauma. Sapevo che, se giustamente avessi reagito, il rapporto sarebbe terminato. Ma insisteva, senza tregua. Sapevo ciò che stava accadendo ed ogni giorno le davo una nuova possibilità, contando l’infinito giorno sul calendario di infiniti giorni, sperando che smettesse di abusare di me; ma ciò non accadeva e mi portava sempre più sotto nel dolore minuzioso, più caparbio, più instabile. Non riuscivo ad uscirne e più guardavo in faccia la realtà più mi chiudevo all’interno dell’odio che quella relazione emanava. Quanto avrei preferito le botte! Sono stata una debole, l’esempio classico della maltrattata, che per non perdere l’amore-ricordo si accontentava di ricordarlo solo. Amato e abusatore sono due persone distinte, non si può volere il primo e far cessare il secondo salvo che ciò non sia fatto in due, possibilmente con consapevolezza reciproca e in un setting protetto come quello di una psicoterapia.
Il maltrattamento è così, è come un marito violento. Non devi mai permettere a nessuno di essere il tuo marito violento. Questo è il raro caso in cui suggerisco un allontanamento, un si salvi chi può allontanamento che farà molto male perché il rapporto con un soggetto narcisista-maltrattante è un rapporto ideato proprio per riempire dei vuoti: nessuno, altrimenti, potrebbe proseguire una storia di abusi, ma lo fa, perché è così che si riesce a coprire delle falle, sia pure pagando un duro scotto. Suggerisco di attendere, lasciare per un periodo l’altro abusare e farsi maltrattare fino alla fine, perché sarà solo dopo aver toccato il fondo che si riuscirà a scomporre amato e abusato e infine si capirà che chi si lascia non è il primo ma il secondo: il primo non c’è più da tempo. Ricordiamoci di non credere nei ricordi, di non farceli bastare, dedichiamoci ad amare ciò che si ha nell’oggi vivo.
Una volta, in risposta al suo gradasso maltrattamento, ho provato a dire: “Io voglio una storia d’amore, non voglio questo tra di noi, voglio due persone che si vogliono bene e si proteggono, non questo maltrattamento privo di fondamenta. Io voglio una storia d’amore”. Il risultato? Mi ha attaccato in faccia.
Romina Ciuffa, 30 aprile 2025
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