ALTRO CHE “I DUE OPPOSTI SI ATTRAGGONO”

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ALTRO CHE “I DUE OPPOSTI SI ATTRAGGONO”. Un uccellino ed un pescetto possono anche innamorarsi, ma dove metteranno su casa? Tanto si dice che le differenze arricchiscono, nessuno fa i conti con la realtà delle cose: essere diversi non sempre è la cosa migliore. Che i due opposti si attraggano, questo è valido solo per le pile. Non può essere, invece, ritenuto valido per gli esseri umani. Se si attraggono, non è di certo perché sono opposti: si attraggono perché si piacciono, e può piacere tanto un opposto quanto qualcuno perfettamente uguale a sé e, nel mezzo, tantissime sfumature.

L’esperienza d’amore con una persona molto diversa può, all’inizio, essere foriera di grandi novità e conoscenze. A lungo andare, se i due partner non riescono a trovare una quadratura del cerchio, quella diversità potrebbe ucciderli e terminare un amore che è nato non per l’attrazione degli opposti. Ci piacciamo per mille motivi diversi e non ci innamoriamo dell’altro solo perché è diverso, sovvengono molti altri elementi a incanalare le nostre curiosità. Parlare due lingue diverse può essere, in principio, interessante, ma poi, con il tempo, l’incomprensione finirà per fagocitare i due parlanti che, con tanti giri di parole nella propria lingua, hanno provato a dire: non mi piace questa parte di te! I due opposti possono amarsi, ma devono almeno completarsi: c’è diversità e diversità.

Ci sono, infatti, delle diversità che possono incrociarsi: sono quelle, ad esempio, degli interessi. I due partner hanno interessi differenti e questo potrebbe certamente arricchirli, senonché è possibile che proprio questi li dividano. In ogni coppia è necessario tenere spazi privati e non condividere tutto, ma vi sono delle non condivisioni che letteralmente logorano il rapporto. Se l’uno ama il mare, l’altro la montagna, dove andremo in vacanza? Domanda semplice, si dirà, e invece presenta una abnorme complessità nella risposta. Se si risponde “montagna” resta insoddisfatto l’amante del mare, se si risponde “mare” resta insoddisfatto l’amante della montagna. Si dirà: faremo “un po’ per uno non fa male a nessuno”, ma ciò non porta da nessuna parte, anzi, sposta l’asticella del rapporto ancora più in alto. Fare un po’ per uno fa stare male entrambi. Nel caso della montagna, soffrirà chi vuole il mare ma soffrirà anche l’amante della montagna perché, se il trekking si fa insieme, l’altro non si troverà a proprio agio e questo umore dominerà la giornata; oppure l’altro non farà il trekking, così però vanificando il concetto di vacanze insieme (e, inoltre, cosa fare tutte quelle ore in montagna?). Vacanze al mare: l’uno insofferente in spiaggia mentre l’altro felice con la maschera, è questa una ipotesi plausibile? Una volta sì, ma tutte le altre? E quando le ferie sono contate?

Ebbene, la diversità tra marittimi e montanari riguarda intrinsecamente qualunque diversità: culturale, fisica, naturale, psicologica, linguistica, mentale e così via. Quando si dice che i due opposti si attraggono, in verità, si fa riferimento al sesso e alla passione iniziale ma non andiamo oltre, perché oltre si è destinati a soffrire, o l’uno, o l’altro, o tutti e due. Un uccello può innamorarsi del pesce, ma come farà quando quest’ultimo è immerso nell’acqua? Si potrà fidare? E il pesce potrà mai volare? Non penserà mai al tradimento? Si possono fare sacrifici per restare insieme e validare il proprio amore che, si presume, ci sia, ma questi sacrifici varranno la pena? Non si rischia di passare la vita con qualcuno con cui principalmente discutere, litigare, stare male? Mettersi con un pesce è davvero così importante per un uccello? Limitiamoci ai grandi risultati della passione e lasciamo andare l’eternità: pesce e uccello insieme non possono vivere. Che si amino come Romeo e Giulietta.

Romina Ciuffa, 2 maggio 2025

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NEL GIRONE DEGLI AMORI CATTIVI

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Non è che detto che, se la coppia si frantuma, tutto va male e la delusione è in prima fila, l’amore sia davvero terminato. Come possiamo misurarlo, c’è un modo? Forse c’è. In alcuni casi, addirittura, la misurazione dell’amore avviene dalle cattiverie che i partner si scambiano quotidianamente. Come? Non è amore? E, invece, può esserlo.

Ci sono anime totalmente incompatibili che si incontrano per scontrarsi e che poi, una volta accortesi di essere tanto diverse, non vogliono rinunciare l’una all’altra e preferiscono soffrire in eterno, in un girone dantesco. Sono consapevoli del male che si fanno e, a volte, pur provando non riescono a non farsene, eppure vogliono stare insieme. Finiscono, così, per perpetrare sull’altro e su se stesse ogni tipo di dolore e non riescono ad uscire dal girone che è stato loro attribuito: quello degli amori cattivi.

In realtà, queste anime non avrebbero voluto essere cattive. Loro vogliono solo essere se stesse. Ma l’essere se stesse comporta, puntualmente, la lesione dell’altra, una discussione, dunque la reazione e la lesione dell’una ad opera della seconda in un circuito vizioso che, nel corso dei giorno, dei mesi, degli anni, logorerà entrambe. Le due anime non potranno stare lontane sebbene una volta ogni tanto si lasceranno, si distaccheranno, taglieranno i contatti, si dispereranno nel sentire quel vuoto minacciare altissime sofferenze, per poi ricominciare tutto daccapo qualche tempo dopo.”Daccapo”, però, non è la parola giusta: essa, infatti, significherebbe tornare all’amore passionale e alle finezze dei primi giorni. Queste due, invece, si riprenderanno con una paura fottuta che, come in ogni circolo vizioso, tornerà a spaventarle. Si sarà tranquilli per una manciata di giorni, ma non sereni perché ormai è certo: si ricomincerà a disturbarsi, dunque il rapporto sarà vissuto in un grande chi-va-là che non lascerà molto spazio all’amarsi.

Ci sono persone in coppia talmente sole che se si unissero formerebbero due persone sole. Queste sono le vittime dell’amore cattivo, quell’amore che non è necessariamente violento ma che si nutre delle cattiverie cieche delle due, insegna loro a farne, annulla l’amor proprio in ragione di un masochistico bisogno di amore. Si può misurare l’amore nell’amore cattivo? Certo, e si dirà di più: le vittime dell’amore cattivo si amano anche di più, perché accettano tutta la cattiveria pur di stare insieme. Dunque l’amore è misurabile quantitativamente, meno lo  è qualitativamente  salvo considerare l’amore cattivo un tipo di amore.

Si alza l’opposizione di chi risponde: se è amore, non può essere cattivo, l’amore è un grande e intenso voler bene e volere il bene dell’altro. Ne siamo sicuri? È certo che nel mondo si intenda amore come il bene per l’altro? Non sarà che l’amore è, innanzitutto, un’azione fatta per se stessi? Un’azione intrinsecamente egoistica, solo dopo la quale fuoriesce anche la componente altruistica in cui si considera anche l’altro. Nel primo momento dell’amore, si vuole amare perché si è portati a farlo, perché è bello, perché fa bene, perché è un sentimento darwinianamente utile che consente la riproduzione della specie, perché non si vuole restare soli, perché si vuole sesso sicuro, perché è più comodo per fare dei figli. Tutto questo, che non è nulla di altruistico: mai si amerà perché l’altro ha bisogno di quell’amore, perché l’altro non si senta solo, perché l’altro vuole dei figli, perché per l’altro l’amore è bello – peraltro, anche il secondo manifesterà la stessa componente egoistica e non amerà mai perché quell’altro vuole essere amato. Gli amori non corrisposti, altrimenti, non esisterebbero.

Suvvia, una buona dose di occhi aperti e testa sgombera per dire: anche l’amore cattivo è amore, anzi, è un amore anche più grande perché non porta con sé la componente egoistica ma solo le falle dell’animo, quelle che devono essere ricoperte con le parolacce dell’altro per sentirsi, finalmente, capiti.

Romina Ciuffa, 1 maggio 2025

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NON DEVI MAI PERMETTERE DI MALTRATTARTI

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NON DEVI MAI PERMETTERE DI MALTRATTARTI. Certe volte si vive talmente male una relazione da accoglierla proprio così com’è, inermi, senza accorgersi che quel continuo dolore, quel costante forte malessere, quella paura, proviene tutta dall’amore. Bisogna prendere questa paura e farne forza, ma è una paura devastante che blocca l’intera sfera psichica e fisica del maltrattato. È ciò che accade a chi sposa un marito violento – la sua presenza, i suoi costanti abusi divengono pane quotidiano – ma non solo: il maltrattamento può avere la melliflua forma di parole e gesti, e questo lo rende meno riconoscibile; è in grado, però, di provocare gli stessi sintomi in chi lo subisce di una relazione fisicamente violenta, e pure di essere classificato come abuso. Le reazioni dei maltrattati, lividi a parte, sono le medesime. E allora, perché non si lascia il violento? Per la presenza di una forma grave di dipendenza, spesso di codipendenza o controdipendenza narcisistica, tale da poter essere già stata formata ai tempi dell’infanzia o dell’adolescenza da chi ha maturato un attaccamento insicuro, instabile, cosicché chi è stato già oggetto di maltrattamenti, crescendo, quelli torna a volere, inconsciamente. È quella la sua zona comfort.

Ma no, non puoi farti maltrattare. Devi alzare gli occhi, non appena ti dice “ma sei cretina?” o ti insulta perché non fai e dici quello che ha detto, devi avere il coraggio di gridare BASTA. Sarà difficile come l’astinenza da droga ma poi, superato il primo periodo, ci si sentirà immediatamente meglio, come fosse accaduto un miracolo. Non c’è nessuno che meriti un maltrattamento. Maltrattante può essere anche una donna, che infierirà meno con le mani ma lo farà con le parole e gli atteggiamenti. Ti trovi a soffrire ciecamente senza poterti appellare a nulla perché l’abuso è talmente sottile da rendere evanescente quella linea di confine tra la reazione o il silenzio, per il fatto di temere che si stia sbagliando (autoattribuzione) e non che l’altro stia, in effetti, maltrattando e, per ciò, finisci per non reagire. Diviene l’impero dei sensi di colpa.

Mi ci sono trovata, sic, e non è stato bello, non tanto per l’inviso maltrattamento, quanto perché ho sentito di non poterlo perdonare, non potevo chiudere un occhio sull’abuso che da tempo veniva perpetrato su di me, e così in me, ogni volta che mi maltrattava, era sempre più chiaro che non potevamo stare ancora insieme, e questo mi cagionava un ulteriore trauma. Sapevo che, se giustamente avessi reagito, il rapporto sarebbe terminato. Ma insisteva, senza tregua. Sapevo ciò che stava accadendo ed ogni giorno le davo una nuova possibilità, contando l’infinito giorno sul calendario di infiniti giorni, sperando che smettesse di abusare di me; ma ciò non accadeva e mi portava sempre più sotto nel dolore minuzioso, più caparbio, più instabile. Non riuscivo ad uscirne e più guardavo in faccia la realtà più mi chiudevo all’interno dell’odio che quella relazione emanava. Quanto avrei preferito le botte! Sono stata una debole, l’esempio classico della maltrattata, che per non perdere l’amore-ricordo si accontentava di ricordarlo solo. Amato e abusatore sono due persone distinte, non si può volere il primo e far cessare il secondo salvo che ciò non sia fatto in due, possibilmente con consapevolezza reciproca e in un setting protetto come quello di una psicoterapia.

Il maltrattamento è così, è come un marito violento. Non devi mai permettere a nessuno di essere il tuo marito violento. Questo è il raro caso in cui suggerisco un allontanamento, un si salvi chi può allontanamento che farà molto male perché il rapporto con un soggetto narcisista-maltrattante è un rapporto ideato proprio per riempire dei vuoti: nessuno, altrimenti, potrebbe proseguire una storia di abusi, ma lo fa, perché è così che si riesce a coprire delle falle, sia pure pagando un duro scotto. Suggerisco di attendere, lasciare per un periodo l’altro abusare e farsi maltrattare fino alla fine, perché sarà solo dopo aver toccato il fondo che si riuscirà a scomporre amato e abusato e infine si capirà che chi si lascia non è il primo ma il secondo: il primo non c’è più da tempo. Ricordiamoci di non credere nei ricordi, di non farceli bastare, dedichiamoci ad amare ciò che si ha nell’oggi vivo. 

Una volta, in risposta al suo gradasso maltrattamento, ho provato a dire: “Io voglio una storia d’amore, non voglio questo tra di noi, voglio due persone che si vogliono bene e si proteggono, non questo maltrattamento privo di fondamenta. Io voglio una storia d’amore”. Il risultato? Mi ha attaccato in faccia.

Romina Ciuffa, 30 aprile 2025

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DEVI STARE PER SEMPRE CON ME

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DEVI STARE PER SEMPRE CON ME. Sembra il sequel di Misery non deve morire e invece è la vita di tutti i giorni tra persone non solo normali, sin troppo normali. Voi ci credete alla storia di passare l’intera vita con una persona sola, dopo che la si è scelta (ma poi, la si è davvero scelta o ci ha scelti)? Di potere avvicinarsi insieme alla vecchiaia e superarla pure? Io ci credo. Nonostante io stessa sia parte di una generazione che ha conosciuto il divorzio, che si è stancata di tutto, che a cinquant’anni ancora sta pensando se fare o no un figlio, continuo ad attaccarmi a quel barlume di intenzione di trascorrere tutta la mia vita con la persona che amo. Sarà difficile? Sì, moltissimo. Ma l’equazione si risolve facilissimamente: come, quando, davvero è possibile? Sì, se anche l’altro lo vuole. Gli abitanti delle generazioni precedenti semplicemente si amavano (alcuni nemmeno quello) e si sposavano per sempre, e nessuno dei due nella coppia avrebbe mai pensato di terminare la relazione fosse costato ciò che fosse costato. Dunque il trucco è solo uno: sapere che l’altro non ci lascerà mai. Allora nemmeno io lo lascerò, intesi.

È necessaria la sicurezza di avere l’altro. Questa corrisponderà, si badi bene, a molta noia, a consapevolezze quali “basta, non ce la faccio più”, “questa volta lo lascio”, “per me è ormai una sorella” che non prenderanno mai forma né concretezza, a scenari da Sandra e Raimondo (“che noia che barba, che barba che noia”). Sarà facile, se non certo, un tradimento, quando non più di uno, ma la coppia resisterà fino alla fine poiché entrambi hanno deciso di stare insieme per sempre e di vivere di questa certezza. E non per la formula “finché morte non ci separi”, ma per l’importanza di sapersi al sicuro in un mentale eterno.

Non che lasciarsi sposti quella sicurezza: lo fa solo psicologicamente. In realtà, spesso lasciarsi è un toccasana che rende tutto molto più semplice. Ma lasciarsi è complesso, è impossibile, lasciarsi significa immaginare di dover affrontare non solo i giorni e i mesi successivi da soli, senza l’altro solito, ma tutti gli anni a venire, con la paura di invecchiare da soli, di non avere più nessuno accanto, né figli perché non se ne sono fatti né altro, finire, se ci sono soldi, in una RSA, o essere completamente abbandonati. Perché spesso è proprio questo lo scenario che si prospetta a chi è lasciato o deve lasciare dopo aver investito molto in una storia, un futuro tragico senza palliativo.

Io ho sempre creduto allo stare insieme per sempre, eppure ancora non è trascorso il mio per sempre con una persona sola. Crederci non è come farlo avverare, ma che anche solo io lo pensi, forse, e dico forse, potrebbe portare l’altra persona a volerlo quanto me. In tal caso prometto di comportarmi bene anche nei periodi più brutti che ci troveremo a vivere, perché sì, ce ne saranno molti.

Romina Ciuffa, 29 aprile 2025

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UN BEL COCKTAIL DI PSICOFARMACI

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UN BEL COCKTAIL DI PSICOFARMACI. Si può soffrire senza soffrire? In parte è possibile, basta rivolgersi a un bravo psichiatra che potrà prescrivere dei rimedi psicofarmacologici contro il “sentire”. Ve ne sono molti, cito un paio a caso: aloperidolo ed olanzapina, entrambi antipsicotici che hanno il potere, se presi in minime dosi, di alleviare le ossessioni e portare le angosce a un livello più basso. Con questi farmaci, la situazione ansiogena calerà di molto ma di essi non bisognerà abusare e andranno monitorati dallo psichiatra (non dal medico di base) in modo da aggiustare la dose a seconda degli effetti diretti o collaterali. Sarebbe indicato anche non bere e non drogarsi, se lo si fa che lo si faccia in minima parte, sospendendo se possibile tutta questa attività che potrebbe comunque peggiorare lo stato psicologico del soffrente, facendolo soffrire di più. Il cocktail di alcol, droghe e psicofarmaci non è mai consigliato.

Gli psicofarmaci non sono la panacea. Nessuno di essi, anche in un paniere ben agghindato, può togliere quel sentire, quella percezione ferma e stanca del dolore. Non si può soffrire senza soffrire. Si può fare un bel cocktail di psicofarmaci e aspettare che passi, ma è come l’influenza: se non curata dura sette giorni, se curata dura una settimana.E poi c’è la regola: storia durata quattro anni, due anni per terminarla, storia durata dieci anni, cinque anni per terminarla, è sempre 2 a 1. Pertanto, se si soffre per amore (la fine di una storia? Un tradimento? Incomprensioni?), e se si soffre tanto per amore, bisogna cedere e decidere di continuare a sentire, anche senza psicofarmaci se Dio vuole. Prendere due settimane, due mesi, due anni per soffrire a più non posso cercando di non perdere gli amici e il lavoro e, da tutto questo dolore, riemergere diversi, sfiancati, logorati, ma uscirne. Tutti sapranno che tu stai soffrendo perché non potrai farne segreto e chiederai gli aiuti più improbabili, posto che la psicoterapia non riesce nel dolore d’amore.

Bisogna farsi forza e affrontare questo incubo ad occhi aperti, non si può nulla contro il dolore d’amore. Si può migliorare le situazioni ma il dolore resterà tale: cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, un tradimento è un tradimento, essere lasciati è essere lasciati, lasciare è lasciare, incomprensione è incomprensione. La terapia di coppia può servire nel primo e nel quarto caso, ma nel tre e nel due – la fine di una storia – non c’è più coppia, resta solo un irruente stato d’animo angoscioso che non vuole fare i conti con altri se non con te. Sei già un turbine, un fiume in piena, i tuoi amici ti aiutano ma alcuni hanno preso ad evitarti, sei per un periodo classificato come “quello che sta male”, prima o poi finirà ma intanto perdi tutto. Pensa se non ci fossero quegli psicofarmaci.

Quello che voglio dire è che gli psicofarmaci possono aiutare snì, gli amici possono provare a farlo, ma il dolore d’amore è tutto dolore tuo e lo devi accogliere, accarezzarlo, tenerlo con te e non visualizzarlo più come una cosa nera buttata in mezzo allo stomaco, iniziare a vederla con dei fiorellini, un po’ di bel tempo, l’odore di erbetta. In mezzo alle gole del dolore passiamo tutti, non facciamocele franare addosso. Butta giù quegli psicofarmaci e inizia la tua giornata con l’angoscia, via via cambierà, nelle ore, nei giorni, nei mesi, negli anni, cambierà e poi finirà. Si può soffrire senza soffrire? La risposta è no.

Romina Ciuffa, 28 aprile 2025

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LA REGOLA DEL BACIO

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LA REGOLA DEL BACIO. Se non ti bacia in bocca e con la lingua la storia è finita. Potresti andare avanti comunque per molto tempo, l’amore forse c’è ancora (è da vedere, non da dare per scontato) ma va sperimentato, comprovato, messo alla prova. Se ti sta bene così, puoi lasciar correre anche per anni in una relazione di pura fraternità (nella quale, probabilmente, uno dei due tradirà), ma per sentire quanto amore c’è il trucco è uno solo: quanti baci in bocca si danno e quali, quantità e qualità.

Questa prova del nove è universale. In ogni coppia arriva quel momento in cui i baci non sono più la cosa essenziale e nemmeno una cosa rilevante, ma non ti mettere in questa situazione, non arrivarci, se ci arrivi cambia le cose o lascia. Senza voltarti indietro. E il sesso, il sesso c’è? Quello che poi dovrebbe essere chiamato amore, “Fare l’amore” e non “scopare” o “fare sesso” o “trombare” o tutte le volgarità del mondo: innanzitutto vediamo se c’è il fare l’amore. C’è? Probabilmente no, e se c’è è di una noia mortale, perché se non si sente la voglia di darsi baci in bocca figuriamoci quella di congiungersi carnalmente. È evidente che se si fa è un po’ per esigenza fisiologica, un po’ per senso di colpa, un po’ per non rendere l’altro tuo fraterno amico. Non vale contare qualche “bottarella” qua e là.

Idem per il sesso: ce ne fosse, l’amore potrebbe ancora mettersi in dubbio ma con una certezza, che la parte fisica (non fisiologica, esattamente fisica) è rimasta e si sta bene insieme nonostante sia solo sesso. Se c’è solo sesso la storia non è finita del tutto, ma andrà verificato, attraverso la regola del bacio, quanto amore è rimasto. Altrimenti il solosesso non vale, diventa un punto sprecato, per carità ottimo allenamento, esercizio fisico, piacere se accade, ma non altro. Farà rinsecchire ancora di più il rapporto perché, se durante il sesso non si sente amore, alla fine del sesso si sta anche peggio. Parlo di chi si fa questa domanda: ci amiamo ancora? 

Perché ci sono molti che rimangono insieme solo per rimanere insieme, la funzionalità è esattamente nella cosa intrinseca, senza giri di parole. Comincia ad annotare dentro di te le volte in cui si mette a letto con il telefonino, in cui non ti abbraccia, in cui la parte sua è la sua e la tua è la tua, in cui non ti si mette addosso anche solo per dormire. E poi applica la regola del bacio: se non ti bacia più, se dimentica di farlo, se ti dà in caso bacetti sulla fronte, se non tira fuori la lingua, stop. Non ci pensare, prendi l’ascia e lascia. Vuoi confrontarti con il tuo partner? Benissimo. Periodo di prova? Anche meglio. Dopo qualche tempo, si tornerà esattamente al punto di partenza, come in un esecrante gioco dell’oca. 

Romina Ciuffa, 27 aprile 2025

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SI FACCIANO PENSIERI LUSSURUOSI

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SI FACCIANO PENSIERI LUSSUOROSI. Quando passano gli anni, com’è la sessualità? O meglio, è d’uopo sentirsi in colpa o strani o meno innamorati perché i rapporti sessuali non sono più come una volta? Questo accade a tutte le coppie ed è totalmente normale. L’uomo per selezione naturale a un certo punto dovrebbe andare a caccia, una volta che ha messo incinta la partner dovrebbe continuare la sua opera di procreazione, secondo il darwinismo; la donna dovrebbe fare la mamma e, fino a che è in tempo continuare a procreare, biologicamente ciò termina verso i quarant’anni. La Chiesa ha preso questi orari biologici e li ha resi un credo, imponendo così che ogni atto sessuale sia fatto ai fini della riproduzione e bandendo ogni altro tipo di sessualità, anche nelle righe del proprio feudo nel quale però ciò non rispettato, essendo molto comuni e noti gli atti omosessuali fra soggetti ecclesiastici di ogni tipo e livello.

La risposta è: sì, è normale che a un certo punto rapporti diventino occasionali e ci sia meno voglia di rapportarsi all’altro e con l’altro. Gli uomini in questo caso spesso e volentieri tradiscono, le donne possono tradire, la maggior parte finirà per guardare il soffitto e passare il tempo in altro modo ma con un groppo alla gola, con la noia esistenziale, con l’autostima crollata. Quando c’è amore a questo potrebbe ovviarsi, ma nelle coppie datate (anche solo un decennio è sufficiente per invecchiare enormemente la coppia, soprattutto quando non v’è un progetto più amplio, come l’avere dei figli) è assai naturale che il sesso divenga quasi un tabù e non solo non si faccia più ma anche non se ne parli più.

Chi ha più prudenza l’adoperi: tale problema porterà senza dubbio alcuno al tradimento di una delle due parti e ancor più spesso, con o senza tradimento, alla fine della coppia. È necessario mettere subito nero su bianco e parlare dell’assenza di sesso, provare ad aggiungerlo nuovamente, non fare finta di niente come è d’uso fare. Se possibile, economicamente e mentalmente, si può ricorrere a uno psicoterapeuta di supporto, ma non è obbligatorio. Ciò che è obbligatorio, invece, è prendere atto dell’assenza di amore sessuale, della discesa del tatto negli inferi, della “fratellizzazione” della coppia, e tornare a toccarsi senza dire più a se stessi: “Mi sembra di stare con mia sorella”. Non è così, ci si impegni, si facciano pensieri lussuriosi. L’amore sessuato non è una bazzecola, deve essere sempre presente, se ne deve parlare, si deve fare, deve coesistere, senza vergogna; il non sesso è la prima causa di fine di una storia, non lasciamoci confondere dai ragazzini che girano per casa.

Romina Ciuffa, 26 aprile 2025

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L’AMANTE IMPAURITO DEVE PARLARE

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L’AMANTE IMPAURITO DEVE PARLARE. Quando divampa un incendio, le cicale cessano di frinire e di riprodursi. Così l’amante impaurito che scivola nella paura dopo un incendio d’amore cessa le proprie attività principali, il disagio può essere tale da trasformarsi in panico e impedire di compiere le azioni basiche, da un episodio possono derivarne altri, e in molti casi è facile che, se la causa non venga rimossa, si configuri un vero e proprio disturbo da panico, in grado di rendere la vita impossibile. Non è un caso raro, quello in cui dalle incomprensioni amorose emerga una patologia più grave nella coppia, un disagio che da poca cosa diviene solstizio di inverno, insormontabile ostacolo che arreca danni inimmaginabili. L’incomprensione qui può prendere due strade: la prima, un ulteriore allontanamento fino alla decisione di sospendere o terminare la storia; la seconda, un riavvicinamento e, nei casi migliori, l’interruzione dei sintomi negativi.

Certo è che se la paura inizialmente può essere complice, in quanto sottolinea ciò che nel rapporto non va e invita la coppia ad affrontare il problema perché non si inasprisca, successivamente, ingrossata e trasformatasi in altra bestia, diviene una nemica dalla forma maestosa di un incontrollabile panico che si presenta in momenti imprevedibili e senza apparente ragione. È qui che la comunicazione perfetta è necessaria, che i due partner devono saper controllare i propri linguaggi e sconfinare in un paralinguaggio che sia di tenerezza ed affidabilità ma, soprattutto, garantire fiducia perché chi soffre di quelle paure non sia anche sobillato di un senso di colpa e di terrore per lo stesso fatto di soffrire di paura, consapevole di rovinare la relazione e attribuendo a se stesso una responsabilità che è di entrambi, se è vero che una coppia è l’insieme di due. È nella depressione, nel panico, nel dolore che la coppia, o la parte della stessa che resiste ed è in questa circostanza più forte, deve farsi forte perché è proprio ora che si verifica quel momento di cattiva sorte che è invocato quando i due si giurano amore eterno – il quale sappiamo non essere del tutto possibile ma, almeno, che sia perseguibile. Se l’amore è incompreso, se le parole non hanno più valore a causa delle interpretazioni, se il senso del tutto è mistificato, i due sono divenuti altro e, perché la paura cessi e con essa i malintesi, o si riporta tutto per iscritto o la volatilità delle conversazioni si trasmette al rapporto, ed è il caso che esso stesso si volatilizzi.

La comunicazione diviene, ora ma sempre, la chiave d’oro di una relazione, in grado di aprirla e di chiuderla. Non c’è rapporto che non debba tessere nella propria tela parole importanti, comprensibili, efficaci; sono queste ed il loro effetto che propagano l’amore consapevole e potenzialmente eterno. A qualunque punto sia la relazione, in qualunque momento, nel bene e nel male, se si aggiunge comunicazione efficace il dado è tratto, tutti i problemi sono risolti. Spesso della comunicazione bisogna comunicare, bisogna farne metacomunicazione quando i due partner non seguono facilmente lo stesso linguaggio; dopo tale accorgimento e sebbene con più fatica di altri, anche la coppia più difficile riuscirà a controllare il tempo e l’amore. L’amante impaurito è chiamato a comunicare e a chiedere comunicazione, sperando che dall’altro lato gli sia data; solo così potrà smettere di avere paura dell’altro e tornare ad amarlo facilmente.

Romina Ciuffa, 25 aprile 2025

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IL BLUFF DELL’AMORE

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IL BLUFF DELL’AMORE. Questo blog è sull’amore patologico, di conseguenza tratta temi complessi e difficili che toccano il cuore e il cervello pensante di ognuno di noi. Non c’è chi nel mondo non abbia vissuto anche solo un attimo una patologia in amore. La differenza fra amore patologico e amore non patologico sta nel senso di angoscia che si porta dentro continuamente, come fosse una zavorra che necessariamente deve stare sulla mongolfiera perché questa non si allontani troppo. Chi lo prova se per certo che, se mollasse quella zavorra, potrebbe volare e cogliere destinazioni infinite, ma non vuole. Vuole stare a guardare il solito panorama, anche se desertico o allagato, anche se non più dolce come un tempo, pur sempre la sua comfort zone che fa sì che tutto sia collocato a formare il puzzle che adesso ha in mente. Sa, però, che appena superato l’angolo potrebbe esserci un Nuovo Mondo, altrettanto difficile ma probabilmente migliore quantomeno per l’essere nuovo. Sa che questo di adesso è un bluff d’amore, ma non riesce ad andare oltre, non riesce a fare il salto, non riesce a lanciare la zavorra.

L’amore è sempre stato concetto complicato, capirlo o non capirlo è irrilevante perché prima o poi (comprensivi o meno) ci passano tutti, anche i più chiusi. L’amore è per tutto, per le cose, per gli animali, per le persone, e prende sempre delle forme differenti, spesso sbagliate, attraverso le quali guardare la vita. Consiste, infatti, nel filtro che mostra tutto dalla sua prospettiva, spesso una mascherina sugli occhi che chiude il senso della vita all’interno di un piccolo spazio che si suole ritenere gigante ma che, invece, è semplicemente minuscolo. Vero è che l’amore fa scalare le vette, fa vedere lontano, aiuta, ma tutto questo al costo di non riuscire più a determinare la vera essenza del sé.

C’è chi, però, preferisce il sé all’altro, in tal caso sarà più facile per lui mollare la presa o rimanere da solo per la maggior parte del tempo. Si chiama a volte amor proprio, altre egoismo, altre attitudine. Non è né giusto né sbagliato. C’è poi chi, da una prospettiva a 180 gradi rispetto all’altro, si determina nel completo opposto, così non sa stare solo e vive per stare con l’altro, purché l’altro ci sia, con gli altri qualunque, si chiude in storie d’amore impossibili, soffre, non sa gestire la propria vita nel senso di completarla con se stesso. Solo dopo tale completamento, infatti, sarà possibile accedere all’altro senza gravi ripercussioni,

Le altre gradazioni d’amore si collocano tra lo 0 e il 180 e tra il 180 e il 360, in punti differenti del globo psicologico che li rende più o meno dipendenti dall’amore o dalla solitudine. La solitudine non necessariamente è il contrario dell’amore, spesso lo completa. In tutti quei gradi nei quali il sé si espleta tra star solo e dipendere dall’altro, l’individuo geme. L’amore è stupendo, questo è vero, ma non lo è se si intende per amore una scelta obbligata, se si definisce zitella o scapolone chi non lo sceglie o non ne è scelto, se si legge con un’accezione negativa la posizione del solitario. Ciò che ci incatena è proprio il dramma sociale, la convenzione che vuole che tutti gli esseri umani in ogni parte del mondo (o quasi) siano assoggettati a un pensiero qualunque, già registrato come unico pensiero corretto, quello che definisce necessario l’accoppiamento, che sostiene che l’individuo debba riprodursi all’interno di una coppia, in caso contrario sarà giudicato, rigettato, in alcuni luoghi anche giustiziato. L’amore deve saper fare il lavoro che è chiamato a fare, non altro, non sostituirsi ai giudizi, non incamerare sofferenza, ma non segue le regole, non collabora: è un pessimo aiutante. Per questo, prima di lasciarsi interamente comandare da lui è necessario imparare a vivere la solitudine da tutto, quella che si esprime solo dentro di sé e fa chiudere gli occhi serenamente, senza l’angoscia del vivere. Solo in seguito l’amore potrà dare i frutti sperati, quando ci si accorga che esso non solo non è necessario, ma non è nemmeno totalmente buono, e che se ne può fare a meno. Allora, potrà non farsene a meno.

Così, in questa puntata sull’amore patologico invito chi ama a comprendere l’apporto dell’amore nella propria vita e a cercare di spostarlo dai 360 gradi e dai 180 su tutti gli altri gradi del cerchio, perché possa lasciare spazio alle altre attitudini e non soffocare completamente chi lo prova. Chi lo prova, allora, potrà finalmente rendersi da esso indipendente e, da allora, potrà definire l’amore un compagno solerte ed attento, non una piaga dalla quale dipendere e all’assenza della quale sentirsi persi in un mondo che gestisce l’amore e lo quota in Borsa. E in Borsa, più che altrove, è fondamentale non cadere nel bluff.

Romina Ciuffa, 23 aprile 2025

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MI ODI O MI AMI?

Ti amo o ti odio? Ti amo. Mi odi o mi ami? Mi odi. Va bene così, posso aspettare, posso provare, posso cambiare. Ma anche tu lo farai?

Non sempre è così semplice dare la risposta a questo interrogativo interno. Molte volte l’amore si trasforma in odio ma noi non riusciamo a riconoscerlo come tale, ed è un odio innamorato che non può più andare avanti. Le dinamiche nella coppia sono compromesse, è difficile per entrambe le parti confrontarsi con se stesse e tornare a trasformare l’odio in amore, cosa assai difficile, o l’odio in nulla, che è ancora più difficile: lasciarsi.

Il contrasto tra questi due giganti sfocia in una dissonanza cognitiva fortissima e porta la persona «innamorodiata» a resistere sperando che l’altra finalmente torni ad essere se stessa, ma la parte che odia non potrà più. Si innescano meccanismi talmente dolorosi da non lasciare scelta alla coppia se non di lasciarsi, e con rabbia, odio, ricordando poi questa relazione come la più brutta. In essa si impongono le stesse dinamiche della violenza: non è difficile trovare, tra queste persone, alcune che dicano che nella coppia si sentono come se avessero un «marito violento», per gli abusi a cui sono sottoposte. Chi odia a volte lo sa, tante altre volte non se ne rende conto e attribuisce tutte le colpe all’altro. Solitamente tale emozione si rinviene in entrambe le parti, è assolutamente speculare e si ciba dell’altro.

Qualunque cosa il partner dica non va bene, si interpreta, si passa il tempo insieme a compiere azioni emotivamente scellerate per far cadere l’altro e poter dire «ho ragione, vedi?», in un gatto che senza fine morde la propria coda, prima smagliante, ora spiluccata. Odi et amo, sono due sentimenti così simili sia pure di diverso colore, di opposto segno, tanto da rendersi spesso indivisibili. Quando l’amore diviene odio, o prevalgano in lui tali elementi, bisogna lasciare ma lasciare è l’unica cosa che non si riesce a fare, non per masochismo quanto per l’impossibilità di ammettere a se stessi che una storia, prima bella, possa finire in questo modo. Ma la storia è finita, e non si vuole lo sia, ci si aggrappa come a una zattera di vetri appuntiti in mezzo all’oceano in tempesta.

A questo punto, ci vuol amor proprio, va trovato. «Amor sui» è sapere chi si è e, nonostante questo, lottare per essere comunque se stessi. Autoaffermazione del sé naturale, un omaggio alla vita attraverso la «cura sui», può coincidere con un processo di guarigione che restituisce all’individuo autostima ed una forma a sé stante di egoismo bonario. Tale atteggiamento potrebbe mal interpretarsi per via di una morale falsata che giudica chi, pur di mettere se stesso al primo posto, si disinteressa dell’altro, restituendo una presenza dell’uomo individuale nella società, anche per il tramite di un’interpretazione di base cattolica, secondo cui un comportamento che non dà priorità all’amore spirituale è inteso come immorale. L’egoismo dell’amor proprio non è l’egoismo che il sostantivo che lo descrive evoca, non si contrappone all’altruismo. L’uno, infatti, non esclude l’altro, anzi lo premette e lo permette; non implica una predominanza sull’altro né ragioni etiche o moralistiche per declassarlo; è il riconoscimento della propria persona come entità distinta dagli altri, il torsolo dell’essere umano.

Amor proprio è ciò che consente di amare l’altro con lealtà e completezza. Una delle prescrizioni più ascoltate tanto in psicoterapia quanto nella società è quella che indica di amare prima se stessi se si vuole amare l’altro, invito ad accettarsi e ad accettare per prime le cose positive che la vita può dare, a costo di negarsi le emozioni forti del dolore e ripudiare gli amori difficili. In questi termini, l’amor sui appare collegato al senso della vita. «Via, fuggi!», ripete l’amor proprio, e in pochi ne seguono il consiglio. A questo punto, si capisce come l’amor proprio sappia dare, se non ascoltato, ferite perfette.

Continuerò a parlare dell’amor proprio, per oggi basta così.

Romina Ciuffa, 22 aprile 2025

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